Quando una situazione rivoluzionaria si produce in un paese, avanti che lo spirito di ribellione sia sufficientemente risvegliato nelle masse per tradursi in manifestazioni tumultuose nella piazza, oppure in ammutinamenti e sollevazioni – è per mezzo dell’azione che le minoranze riescono a risvegliare questo sentimento d’indipendenza e questo soffio d’audacia, senza i quali nessuna rivoluzione potrebbe compiersi.
Uomini di cuore che non si contentano di sole parole, ma cercano di metterle in esecuzione, caratteri integri, per i quali l’atto e l’idea formano una sola cosa, per i quali il carcere, l’esilio e la morte sono preferibili ad una vita incoerente coi principi: uomini intrepidi che sanno che bisogna osare per riuscire – ecco le sentinelle perdute che incominciano la battaglia, molto prima che le masse siano bastantemente eccitate per innalzare apertamente la bandiera dell’insurrezione e lanciarsi, colle armi alla mano, alla conquista dei loro diritti.
In mezzo ai lamenti, alle chiacchiere, alle discussioni teoriche, un atto di ribellione individuale o collettivo, si produce, riassumendo le aspirazioni predominanti. È possibile che a tutto prima la massa resti indifferente. Pur ammirando il coraggio dell’individuo o del gruppo iniziatore, è possibile ch’essa segua di primo acchito i savi, i prudenti che s’affrettano a tacciare questo atto di “follia” e di dire che “i pazzi”, “le teste calde compromettono tutto”. Essi avevano allegramente calcolato, i savi ed i prudenti, che il loro partito, proseguendo lentamente la sua opera, arriverebbe fra cento, duecento, trecent’anni forse, a conquistare il mondo intero – ed ecco che l’imprevisto se ne immischia: l’imprevisto, ben inteso è ciò che non è stato previsto da loro, i savi ed i prudenti. Chiunque conosce un tantino di storia, e possiede un cervello appena, appena equilibrato, sa perfettamente che la propaganda teorica della Rivoluzione si produce necessariamente in fatto, molto prima che i teorici abbiano deciso che il momento di agire è venuto: tuttavia, i savi teorici s’indignano contro i pazzi, li scomunicano e lanciano loro l’anatema. Ma i pazzi trovano delle simpatie, la massa del popolo applaude in segreto alla loro audacia ed essi trovano degli imitatori. A misura che i primi di essi vanno a popolare le prigioni ed i bagni, altri vengono a continuare la loro opera; gli atti di protesta illegale, di ribellione, di vendetta si moltiplicano.
L’indifferenza è ormai impossibile. Coloro che, in sul principio, non domandano nemmeno ciò che vogliono i “pazzi”, sono costretti ad occuparsene, discutere le loro idee e schierarsi, pro o contro. Per mezzo dei fatti che s’impongono all’attenzione generale, l’idea nuova s’infiltra nei cervelli e conquista dei proseliti. Qualsiasi di questi fatti fa in qualche giorno più propaganda che migliaia di opuscoli.
Sopratutto esso suscita lo spirito di ribellione, fa germogliare l’audacia. – L’antico regime, armato di poliziotti, di magistrati, di gendarmi e di soldati, sembrava saldo, come la vecchia fortezza della Bastiglia che, essa pure pareva inespugnabile agli occhi del popolo inerme, accorso sotto le sue alte mura, coronate di cannoni pronti a far fuoco. Ma tosto apparve che il regime stabilito non ha la forza che si supponeva. Un atto audace bastò per incagliare per alcuni giorni la macchina governativa, per scuotere il colosso; una sommossa ha messo sottosopra tutta una provincia, e la truppa sempre così imponente, ha dovuto indietreggiare dinanzi ad un pugno di contadini, armati di pietre e di bastoni; il popolo si accorge che il mostro non è così terribile come lo si credeva, comincia a intuire che pochi sforzi energici basteranno per atterrarlo, la speranza nasce nei cuori, e ricordiamoci che se l’esasperazione spinge spesso alle sommosse, è sempre la speranza, la speranza di vincere che fa le Rivoluzioni.
Il governo resiste; incrudelisce con furore. Ma se un tempo la repressione uccideva l’energia degli oppressi, ora, in epoca di effervescenza, essa produce l’effetto contrario. Dà ai ribelli l’eroismo, provoca nuovi atti di ribellione, individuali o collettivi: atti che si estendono di terra in terra, si generalizzano, si sviluppano. Il partito rivoluzionario si rinforza di elementi che fino ad allora gli erano ostili, o che poltrivano nell’indifferenza. La disorganizzazione sconvolge il governo, le classi dirigenti, i privilegiati; gli uni spingono ad oltranza alla resistenza, gli altri si pronunciano per le concessioni, altri ancora giungono persino a dichiararsi pronti a rinunciare pel momento ai loro privilegi, allo scopo di calmare lo spirito di ribellione, salvo poi dominarlo più tardi. La coesione del governo e dei privilegiati è disciolta.
Le classi dirigenti possono tentare ancora di ricorrere ad una reazione furiosa. Ma non è più il momento; la lotta diventerà più acuta e la rivoluzione che si annunzia sarà più sanguinosa. D’altronde, la minima concessione fatta dalle classi dirigenti, per il fatto che arriva troppo tardi, ed è strappata colla lotta, non fa che eccitare maggiormente lo spirito rivoluzionario. Il popolo, che prima si sarebbe accontentato di quella concessione, ora si accorge che il nemico piega, prevede la vittoria, sente crescere la sua audacia, e quelli stessi uomini che prima, schiacciati dalla miseria, non facevano che sospirare di nascosto, rialzano la testa e si lanciano con fierezza alla conquista di un avvenire migliore.
Infine, la Rivoluzione scoppia tanto più violenta quanto più la lotta precedente è stata accanita.
[da L’Adunata dei Refrattari, anno X, n. 14 del 18-4-1931