Allegato del procuratore durante il processo contro la Mano Negra

udizione di Jerez, da  La Ilustración Española y Americana, Madrid, Aprile del 1883 (Archivo La Alcarria Obrera)

Il processo della Mano Negra, del quale abbiamo già incluso la sentenza, è stata la risposta della borghesia andalusa alla crescente agitazione da parte dei lavoratori e alla ricostruzione della sezione spagnola della Prima Internazionale -basata sui principi anarchici (la Federazione dei Lavoratori della Regione Spagnola)- a partire dal 1881. Con questa sintesi, ha inizio la repressione dell’anarchismo spagnolo, che sotto il velo di apparente legalità democratica della Restaurazione, ha inventato i reati, le prove falsificate, gli arresti, le torture e anche di aver giustiziato degli innocenti fino ai terribili eventi del Castello di Montjuic di Barcellona. In questo caso, il procuratore aveva detto, nel suo appello, che non aveva alcuna prova della confessione degli imputati nella caserma della Guardia Civil, ma questa “prova” era stato sufficiente a condannare per un crimine che non avevano commesso. L’anarchismo non si piegò, ma pagò angosciantemente un pesante tributo.

Viene di nuovo il procuratore per soddisfare il penoso dovere che il suo incarico impone, e che in verità oggi è più che mai pentito della sua mancanza di eloquenza nel trattare come meritano queste questioni molto gravi, in cui sono coinvolti gli imputati del processo. E che tiene l’onore di dirigersi a quella Camera che ha sempre conosciuto la sua piccolezza, e in questo caso la conosce più e più, e si sente indebolire il suo animo di fronte alla grande, grandissime questioni che così si vengono a scoprire. Il procuratore, però, credendo che la Corte rafforzi la sua intelligenza, si è fatto animo nello svolgere questo ruolo, di gran lunga superiore alle sue forze.

Prima di entrare pienamente nel merito, e anche a rischio di essere impertinente, il procuratore risponde affermando che non ha chiesto questo incarico; non gli è mai attraversato per la mente di pretenderlo, nè ha avuto il minimo desiderio di averlo. Solo il dovere lo porta qui, e merita qualche considerazione, signori giudici, e che non è arrivato sulle ali di qualche particolare interesse, ma nel rispetto degli obblighi imposti dalla carriera professionali. Detto questo, senza scendere in digressioni che servono soltanto a farci perdere tempo prezioso, e tenendo conto di quello che parla l’accusa -in quanto dovrebbe essere limitato a stabilire chiaramente i fatti-, si entra nel merito, senza alcuna deviazione in quanto può disturbare la chiarezza tanto necessaria del processo.

Da qualche tempo, è noto che in questa località sono state stabilite delle associazioni di lavoratori. Il fine che a prima vista si riconosce in queste società, è l’aiuto reciproco; e in verità non può non attirare l’attenzione, essendo questo fine non solo giuridico, ma morale, e i partner sono avvolti nel mistero più profondo, tali da essere conosciuti solo con dei numeri, i quali sostituiscono i loro veri nomi. Resta inteso che questo è stato fatto in passato, che per fortuna e finito, che l’uomo non ha potuto esercitare il libero diritto di associarsi; ma ora la legge dà tale diritto, in questi tempi in cui nessuno dubita che l’uomo non solo tiene il diritto, ma che deve associarsi per trovare il benessere attraverso la forza di molti -benessere che da soli non potrebbero acquisire: naturalmente, il tutto viene fatto nel rispetto della legge e della morale, visto che questo diritto non viene negato, ma viene facilitato con le leggi attraverso l’associazione per migliorare la propria moralità; in questi tempi in cui nessun ostacolo si oppone, non si comprende, ripeto, l’esistenza di società segrete, se il loro scopo è, come si dice, la cooperazione e la mutua assistenza tra i lavoratori. Se l’oggetto della vostra associazione è legittima, perché vi nascondete? In caso contrario, i lavoratori onesti e la vostra onestà, vi dovrebbe vietare l’appartenenza ad esse. Prima che la legge consenta l’associazione, non è necessario nascondersi per esercitare tale diritto in cui la legge è d’accordo! Sempre che l’associazione non tenga come obiettivo quello di distruggere l’ordine sociale.

Ripeto che in questi tempi non si comprende l’esistenza di società segrete; eppure ci sono società segrete. Negarlo sarebbe chiudere gli occhi alla luce del sole, sarebbe negare l’evidenza di ciò, che sanno tutti. In questo processo è stato dimostrato in modo evidente l’esistenza di un’associazione particolare, in cui tutti gli imputati ci hanno detto di appartenere a una società in cui sono riconosciuti come dei numeri, in cui tutti sono stati sottoposti ad un potere terribile e misterioso che li ha costretti a commettere i crimini più efferati. Le società segrete esistono, a loro dobbiamo l’incidente sfortunato che ha portato questi disgraziati a essere qui presenti (indicando gli imputati). Il procuratore non si ferma molto su questo tema; il procuratore non verrà oggi ad esaminare l’origine di queste associazioni ed individuare il loro scopo; verrà il momento giusto per farlo, perché si segue una procedura speciale per essa, e quando si arriverà al processo pubblico, verrà trattata. Per oggi, ripeto, si insiste su questo particolare: e lo faccio unicamente, perchè devo farlo, in quanto indicando i relativi documenti che sono stati portati a questa causa, come prova formulata da me. Il pubblico ministero deve far osservare alla Corte che questi documenti non sono di questo processo, che questi documenti erano stati redatti fin dal 1879; c’è stato un processo di grandi dimensioni e sono stati prodotti i loro effetti, conosciuti ai più, ma non vi è alcun nesso fra tali documenti e i fatti di questo caso.

Gli imputati non sanno nulla di queste prove; ed è molto degno di attenzione che si percepisce in questi documenti, datati 1879, quello che si era realizzato alla fine del 1882.

Si può dire che essa sia una coincidenza: ma è una coincidenza davvero rara. In questi documenti appare un’organizzazione sociale anarchica, un’organizzazione contro il capitale; ma non vi è solo questo; in questi documenti non si parla solo dell’organizzazione di una società, ma si stabiliscono anche le sanzioni per coloro che rivelano il segreto della sua esistenza. Hanno detto che quando un individuo tradisce, il gruppo di cui fa parte può ordinare la sua morte, e se faceva comodo farlo, in questo caso, può affidare la sua attuazione ad un altro gruppo e devono comunicare l’ordine firmato dal presidente e dal segretario. Ripete il procuratore: Strana coincidenza!

Nel 1879 si parlava di fare in questo modo.

Le regole generali di deduzione, ci permettono di garantire che tali istruzioni verifichino i ​​fatti che oggi motivano questa causa. Il procuratore sa perfettamente che nessuno dei processati in questo causa, ha avuto questi documenti, ma non importa; la dottrina contenuta in essi, possono essere comunicati con diversi mezzi. Ciò che veramente  si deve vedere, sono alcuni fatti che vengono relazionati con gli altri, e guardli come ho avuto occasione di indicare.

Possiamo solo dire questo per ora come prerequisito per entrare nel cuore della questione.

Bartolomé Gago Campos, el Blanco de Benaocaz, un giovane attivo, laborioso e intelligente, non solo ha svolto sempre puntuale il suo lavoro, ma ha anche raccolto un piccola capitale che ha impiegato a prestarlo ad un amico, come ha fatto con Vazquez Roque, e coltivava un campo che gli dava un minimo di prosperità. El Blanco, anche se era un nativo di Benaocaz, era in servizio presso la famiglia dei Corbachos, che domiciliano in un luogo conosciuto a El Alcornocalejo. Obbedendo forse alla tendenza generale che incoraggiava i lavoratori alla città nell’associarsi, esso si era iscritto a una società segreta.

Al processo si è dimostrato che Bartolomé Gago Campos, el Blanco de Benaocaz, diffondeva idee socialiste tra il popolo; il cugino Bartolo Gago de los Santos ci ha detto ciò, e per questo motivo avrebbe avuto il suo impegno come altri associati.

Nella valle, l’associazione era stata costituita, formando due gruppi distinti, di cui uno precisamente ad Alcornocalejo -di cui facevano parte Pedro e Francisco Corbacho, Juan Ruiz, Roque Vazquez e altri che non è il caso di nominare. Come hanno detto gli imputati, facevano parte i fratelli Pedro e Francisco Corbacho della commissione, da cui ne consegue che qualcun altro formava la commissione. Nei pressi della Parrilla, vi era un altro gruppo di associati a cui vi era a capo Bartolo Gago de los Santos, con il titolo di decurione (1). Era stato responsabile per la raccolta della quota mensile di 3 reales di ogni partner: un contributo per quello che l’associazione riteneva opportuno. A questo gruppo de la Parrilla, appartenevano Manuel Gago de los Santos, Cristóbal Fernández Torrejón, José León Ortega, Gregorio Sánchez Novoa, Gonzalo Benítez Álvarez, Rafael Jiménez Becerra, Salvador Moreno Piñero, Juan Cabezas Franco, Cayetano (orfano) conosciuto come Cayetano de la Cruz, in una parola, tutti gli imputati, meno che il pastore Jose Fernandez Barrio che non apparteneva all’associazione, come hanno detto gli stessi imputati. Ci hanno detto che riconoscevano Bartolo Gago de los Santos come decurione, e anche se non hanno fatto una confessione sul fatto che non fosse il loro capo, si apprende dalle loro parole che ispirava un certo rispetto e considerazione, tanto da portarli a eseguire sempre le istruzioni.

Tra il gruppo di Alcornocalejo e de la Parrila, esistono delle relazioni; erano i membri a decidere -come un unico corpo-, ed è chiaramente dimostrato dalla manifestazione che ci ha fatto Bartolo Gago dicendo che aveva ricevuto una comunicazione dal Presidente o VicePresidente del gruppo di Alcornocalejo .

Si è giustificato, dicendo che El Blanco de Benaocaz era creditore di Pedro Corbacho o della famiglia che rappresenta, perché a quanto pare era il membro più attivo e più intelligente e che teneva i conti, come ci ha detto il suo stesso fratello. Si aggiunge anche il fatto che El Blanco si lamentava spesso di questo debito non pagato o del comportamento della società e ne discuteva spesso di questa cosa; il gruppo, a questo punto, si era riunito ad Alcornocalejo, nella casa di Juan Ruiz, e concordarono, dopo una matura deliberazione, che il comportamento di El Blanco era dannoso ed era necessario ucciderlo. Si erano riuniti tutti gli associati; il giorno dell’omicidio non si sa di certo, ma sicuramente risulta -da questo caso- che sarebbe avvenuto nello spazio di tempo tra gli ultimi giorni di Novembre e il 4 di Dicembre; si riunirono, io dico, tutti gli associati, e anche se il gruppo de la Parrilla erano contrari alla morte di El Blanco, il Procuratore conclude che vi era opposizione solo per la forma detta. Ma la prova è che non esitarono nel concordare, dopo che l’ordine venne definito in modo corretto.

In quella stessa riunione, Juan Ruiz aveva esteso l’ordine; l’ordine era stato firmato dai fratelli Corbacho e Juan Ruiz, e tale ordine era stato dato a Pedro Corbacho che aveva più interesse nella decisione rispetto ai suoi compagni, e temeva che qualcun altro potesse inviare quell’ordine. Ciononostante, Pedro Corbacho l’aveva consegnato a Roque Vazquez quando era andato a la Parrilla. Bartolomé Gago ha detto che era stato Roque Vazquez a consegnare l’ordine; nessuno aveva visto questo atto, nemmeno Cayetano Cruz, il quale negò di aver visto Roque Vazquez consegnare una lettera a Bartolo Gago. Quando Bartolo Gago ricevette l’ordine, suo cugino era andato a trovarlo nel mulino, e approfittando di un momento in cui El Blanco si era distratto, disse a suo fratello Manuel che l’avrebbe intrattenuto presso la taverna del Pollo e che poi lo avrebbe portato al ruscello de Las Planteras, dove stavano appostati i futuri sicari di El Blanco.

Analizziamo quello che è successo. Dopo che Manuel e suo cugino abbandonarono il mulino di Bartolo, dopo essere venuti a conoscenza dell’ordine, e vedendo che mancava qualcuno, tra cui Gregorio Sanchez Novoa, li andarono ad avvertire. Gregorio Sanchez Novoa ha dichiarato che Gonzalo Benitez l’aveva avvisato e che gli fece leggere l’ordine prima degli altri associati.

E’ chiaro che l’ordine che era stato dato a Gregorio Sanchez Novoa -un uomo altamente onorevole rispetto ad altri e di come la Corte ha constatato ciò-, ha letto davanti a tutto ciò che c’era scritto, senza nessuno fare alcun commento.

Era il 4 dicembre, giorno in cui il sole tramonta alle quattro e mezzo; tutti sapevano che El Blanco stava con Gago nella taverna del Pollo e tutti erano pronti a ucciderlo, tra cui i due più giovani, Gonzalo Benitez Alvarez e Rafael Becerra Jimenez, che erano armati con fucili da caccia.

Tutti si concentrarono, tutti meno Bartolo Gago, che avrebbe dovuto compiere un’altra missione; Cristobal Fernandez Torrejón, non fidandosi di Manuel Gago, perchè sapeva certamente che era un giovane sensibile e temeva che la sua coscienza lo poteve spingere a non commettere un reato, soprattutto perchè si trattava di suo cugino, era andato anche lui alla taverna del Pollo, in modo da portare El Blanco nel luogo dell’esecuzione.

Bartolo Gago era andato al la Parilla, non perché non voleva partecipare all’esecuzione, ma perché voleva intrattenere l’amministratore, in modo che quest’ultimo non si accorgesse della mancanza di lavoratori.

E nemmeno Juan Cabezas Franco aveva partecipato a tale esecuzione, trovando come scusa che doveva andare a vedere la sua ragazza. Ad egli non ripugnava quello che i suoi compagni avrebbero portato a termine alla Plantera.

Non avevano minacciato nessuno. Così come ha detto Bartolo Gago, tutti erano consenzienti.

Per raggiungere il torrente Plantera, avevano accorciato la strada attraversando il campo, e ben presto erano arrivati ​​e avevano trovato la vittima in mezzo al campo, in una conca, come hanno detto testimoni; e questi testimoni avevano visto i tre uomini presenti al processo, ovvero Manuel Gago, Cristobal Fernandez Torrejón e lo sfortunato El Blanco de Benaocaz.

Questo gruppo gruppo non si era presentato per casualità; no, tutti sapevano che dovevano presentarsi, e sapevano anche l’ora e il sito dove erano presenti il resto del gruppo.

Hanno aspettato qualche minuto, si erano appostati i più giovani, Gonzalo Benítez Álvarez y Rafael e Jiménez Becerra, che erano armati, e anche José León Ortega.

Alle ore 21:00, secondo il Procuratore, si erano presentati in questo modo i tre uomini provenienti dalla taverna.

Manuel Gago e Cristóbal Fernández Torrejón avevano portato El Blanco de Benaocaz dalla taverna del Pollo, lungo una strada tortuosa e che si snoda attraverso dei posti nel quale, a quell’ora, nessuno passava, come ci ha detto il sindaco nella sua dichiarazione.

Manuel Gago e Cristóbal Fernández Torrejón non avevano nulla per sparare a El Blanco: avevano solo l’incarico di condurlo in quel luogo, in cui, secondo l’ordine ricevuto, doveva consumarsi il delitto. Ma al sentire la voce alta, come ha dichiarato lo stesso Manuel Gago, temevano che nell’oscurità della notte avessero sbagliato e avessero semplicemente ferito El Blanco; ma poi, approfittando di questo fatto, fecero dei passi avanti e gli spararono, e il disgraziato cadde a terra.

Sentendosi ferito, El Blanco, non credendo che l’attacco proveniva da suo cugino disse: “Cugino mio, aiutami!” Infelice! Lo sfortunato vide che esso aveva dimenticato i legami di sangue! Come si deve credere senza motivo alcuno, senza che tra essi vi fosse il più piccolo dissenso, Manuel stava attentando alla sua vita, a una persona nelle cui vene scorreva il suo stesso sangue!
Erano dei fratelli, dal momento che tutti abbiamo sentito la dichiarazione del vecchio padre dello sfortunato El Blanco, che ci ha detto di aver sempre trattato i suoi nipoti come dei figli!

Caduto a terra, Bartolomé Gago Campos, José León Ortega era andato lì, e incapace di sparare con il suo fucile -perché non l’aveva mai usato-, prese il coltello -di cui lui ha sempre dichiarato di non averlo mai usato- e ha inflitto una ferita al collo, come afferma il pubblico ministero e dice che è inconcepibile che una persona abbia rilasciato una dichiarazione falsa. Anche Gregario Sánchez Novoa aveva preso parte all’omicidio, tappando la bocca di El Blanco, in modo che quest’ultimo non potesse gridare aiuto; e avendo preso parte a questo crimine, adesso prende parte parte a questo processo e deve rendere conto alla giustizia umana. Tutti avevano udito distintamente gli spari, sono venuti tutti in una volta, ognuno dei quali, dopo aver accertato che El Blanco era morto, avevano cercato di nascondere il loro crimine, in modo da impedire alla giustizia di scoprire questo crimine terribile.

A poca distanza da lì, (e di certo, non bisogna passare attraverso molti villaggi) hanno partecipato Agustín Martínez Sáez, Cayetano Cruz e il pastore Jose Fernandez Barrios. Hanno scavato una fossa; tutti gli altri hanno preso il cadavere di El Blanco, e lo hanno gettato dentro la fossa, seppellendolo, e hanno strappato il foglio con su scritto l’ordine ricevuto a la Parrilla. Dopo aver commesso il fatto, alcuni sono andati a casa sua e gli altri a la Parrilla dove si resero conto che Bartolo Gago aveva adempiuto ai suoi ordini. Il giorno dopo, come se nulla fosse accaduto, tutti ritornarono alle loro occupazioni.

Nel frattempo, il vecchio padre di Bartolomé Gago Campos, uomo venerabile come la Corte ha avuto occasione di vedere, quel modello di virtù tipico delle nostre tradizioni, il grande padre che non riusciva a capire che mancava un bambino ed esclamava: “sarebbe morto il giorno in cui avrebbero perso il mio rispetto”; il disgraziato padre disse:” Dov’è mio figlio? Che cosa ha fatto mio figlio che mi ha abbandonato? Dov’è che è andato uno dei miei interessi? Come può abbandonarmi per l’età che ho? Come è possibile che mio figlio mi abbia lasciato?”. Questo il povero vecchio disse…questo signifca che egli era un buon genitore, che ama ed è amato dai suoi figli.

Ma era necessario che il delitto si nascondesse, ed era necessario mettere tutti i tipi di ostacoli alla giustizia, prima che essa venissa a scoprire il crimine, e per questo, per calmare il padre, venne scritta una falsa lettera. Nella lettera vi era scritto che Bartolomé si trovava a Barcellona. Quando venne recapitata al padre, egli credette veramente che suo figlio si trovasse a Barcellona; ​​e in questa lettera è da notare, signori della Corte, che vi erano i dettagli della vita intima e segreti di Gago, scritti con una scrittura identica al defunto. Ma il tempo passava, una felice coincidenza fece sì che il crimine era stato scoperto e nessuno degli “amici” di El Blanco, si era premurato di avvertire l’infelice vecchio che la lettera era falsa, che suo figlio era morto. Il povero padre non riusciva a credere in un primo momento, “mio figlio è a Barcellona” aveva detto, ma la notizia del delitto si diffuse, e presto si convinse della tragica verità.

Il reato commesso nel buio della notte, nel mese di dicembre, a quell’ora tarda, quando nessuno osava andare nei campi, con il corpo del delitto sepolto nella terra: sembrava impossibile che qualcuno potesse cercare in quel punto. Nonostante questo, la prestigiosa Guardia Civil, conforto dell’uomo buono e terrore dell’uomo cattivo, questa volta aveva reso un grande servizio alla causa della società. La Guardia Civil, ancora una volta, guidata dal suo degno capo D. Joseph Oliver (il procuratore, anche se di solito non fa nomi, questa volta lo fa perché è un processo pubblico e questa è una parte integrante del processo), aveva scoperto questo delitto misterioso. Mi congratulo e ringrazio D. Joseph Oliver, a nome della causa pubblica, il suo record sarà pieno di pagine patinate, ma nessuna come la scoperta dell’omicidio di El Blanco de Benaocaz.

E ha riferito i fatti, come descritti nelle prove; ora dobbiamo chiederci: Che cosa è questo crimine? Fin dal primo momento, è chiaro ed inequivocabile che il reato è omicidio. Anche una persona ignorante delle cose di legge, appena sente la causa della morte di El Blanco de Benaocaz, esclama d’istinto “E’ un omicidio”; e che non è un reato comune. Questo crimine dimostra la perversità di coloro che lo hanno commesso. Che la morte di El Blanco sia stata causata dalle ferite dei proiettili sparati da Cristobal Fernandez Torrejon e Manuel Gago, i medici ci hanno detto che le due ferite sono state fatali, e che il decesso è avvenuto in pochi istanti, e che non c’è alcun dubbio che ciascuno dei proiettili abbia perforato i polmoni. E a questo abbiniamo gli altri aggressori! La ferita al collo di Bartolomé Gago non era mortale; se avessero continuato l’azione -che ha prodotto la ferita al collo-, essa sarebbe stata mortale. Questo, però, non sminuisce la responsabilità di José León Ortega, in quanto ha ben dimostrato la sua intenzione di uccidere il malcapitato, qualora fosse stato necessario.

Quali sono le circostanze di qualificazione di questo reato di omicidio? Il procuratore, per ora, si limita a registrare le circostanze che qualificano il reato, in quanto, forse, non si sa se ciò sia avvenuto con premeditazione o no. Ora, ripete il pubblico ministero, non fa altro che indicare le circostanze: nel corso della sua relazione cercherà di dimostrare l’esistenza di entrambi.

Che ruolo hanno avuto ciascuno degli imputati nel partecipare e rinunciare a quello che li poteva favorire? Il procuratore porterà avanti questo esame, ma prima di fare ciò, fa una considerazione.

Il procuratore non credeva che fosse un principio indiscutibile che gli imputati sapessero le dichiarazioni; e credendo, ripeto, che questo potesse essere un ostacolo alla ricerca della verità, ha chiesto che le dichiarazioni fossero effettuate separatamente. La difesa, tuttavia, si è opposta, non sospettando l’importanza di questo suo rifiuto; e questo, signori della Corte, non è una cosa nuova: quello che il pubblico ministero ha chiesto è qualcosa che negli altri paesi è consentita quando le circostanze particolari lo richiedono. Noi, che siamo molto giovani della nuova procedura, che è appena nata per un processo pubblico, tutto quello che vogliamo fissare è portare il rigore dei principi alle estreme conseguenze; eppure in altre nazioni, dove sono noti i vantaggi e gli inconvenienti della sperimentazione, c’è quello che il procuratore ha suggerito. Quando c’è una lacuna nella legge, l’intero corso deve fare in modo di cercare la verità. Ripeto che quello che il procuratore ha avuto l’onore di proporre, in altre nazioni è fatto e il codice di procedura francese afferma chiaramente:
Il presidente può disporre, prima e durante la testimonianza, di un imputato e poi di un altro, e può esaminarli separatamente in diversi punti del processo.
Questo non vuol dire che vengono limitati i diritti della difesa; no, il pubblico ministero è disposto a rispettarli, e non a limitarli. Non ha rifiutato ciò davanti alla Corte; il Procuratore ritiene che non può dare complemente fede a quello che gli imputati hanno detto. Il processo si basa sulla convinzione morale della coscienza, credendo che si verifica quando si guardano le facce degli imputati e vedere se vi sono ambiguità ed esitazioni. Tutto ciò è necessario e si deve tenere conto; e di questo aspetto, il procuratore, è lieto di riconoscerlo. Ma come deve prendere in considerazione quando in un processo di Stato, gli imputati danno dichiarazioni discordanti? Non abbiamo conosciuto la verità, ma quello che hanno detto danneggia tutti loro.
Il procuratore non comincia a dire chi ha diretto il delitto; ciò è lontano dalla sua mente, ma tiene a manifestare che la questione presente non gli ha portato dei dati efficaci. Il procuratore, credendo che, incontrando di presenza tutti i processati, potesse dare qualche risultato, considerando che nella natura umana non è necessario che un uomo conosca i principi del diritto naturale per applicarlo, ha fatto sì che ascoltasse le dichiarazioni dei presenti separatamente. Signori della Corte, questa è la mia convinzione, e non si cerca di suggestionarvi; no, perchè il pubblico ministero non cerca che la verità e che lo ispira Dio alla sua coscienza: la pena da infliggere agli imputati -per evitare di incorrere in un errore-, è una grave conseguenza, oltre che molto triste, perché dopo tutto è un peso enorme sulla coscienza, soprattutto se il procuratore si sbaglia.

Sentito questo precedente, che tipo di prova si deve considerare in questo processo? Senza dubbio, e di qualsiasi genere, vi è l’evidenza primaria quale la confessione. Non dite che la procedura di accusatoria rifiuti la confessione, no; questo è un altro rigore dei principi, non vi è nulla di simile. Solo la costituzione americana vieta la ricevuta della dichiarazione agli imputati prima del processo, cosa che in altre nazioni non avviene, dato che anche in Inghilterra, diciamo della procedura orale, si accetta che il giudice istruttore riceva la confessione ed esegua l’elaborazione. C’è di più: nel procedimento inglese è entrato il principio di conformità, ovvero che il processato può dimostrare che egli sia l’autore. Cos’è questa se non una confessione? L’uomo che esprime volontariamente il fatto che ha commesso, per essere creduto deve essere in possesso dell’integrità della propria facoltà intellettuale. Il reo che nega, è sempre sospetto perché è la sua coscienza a sostenerlo, ma chi dice la verità, anche se è dannoso, si mostra sereno e tranquillo, perché alla fine della confessione si sente pulito moralmente. La società non può accettare ciò come causa di attenuazione; è vero, ma un imputato sa che è la sola religione ad ammettere ciò. Ma a parte questo, a parte che la confessione morale è la stessa della confessione di fatto, il pubblico ministero deve dimostrare che la confessione è un mezzo di prova e anche una fonte di certezza che è approvata da tutta la legislazione.

Il diritto penale non ha la pretesa di affermare in assoluto i procedimenti di accusa; no, si definisce come una procedura inquisitoria. Non si sente l’imputato, fin dall’inizio, per il contenuto di quello che deve dire; no, nei primi due mesi non si parla con lui e il giudice, può ritenere opportuno continuare la prenotazione. Che cosa è questo se non rispetto alla procedura inquisitoria? Finora abbiamo eseguito solo quello che ci dice la procedura del diritto penale, nella sua purezza, nella sua interezza.

Ciò posto, il Procuratore comprende e sostiene che ci sono ormai le prove, le fonti di assicurazione con tutti i mezzi razionali di induzione; tutti sono ammessi, tutti servono a dimostrare la verità e tutti possono essere apprezzate dalla Corte. Quindi, signori della Corte, non c’è nessun articolo che dice che l’evidenza è tale, e l’altra no; la Corte ha ammesso le prove presentate. In questo senso, non è necessario che intervenga la Corte Suprema per decretare cosa è e cosa non è una prova; la legge dispone il modo, con cui viene praticata, e non si potranno sostenere il non volere tali testimoni, esperti e documenti. Può crescere e sarebbe un gran progresso se essa si concretizzasse! Ma non è solo questo. La legge parla anche della confessione, in cui si applica un reato.

In ogni dettaglio, vi sarebbe sempre un articolo che racchiude in sé tutte le prove ammesse; ma questo problema non è stato presentato oggi, non è nuovo; il problema presentato al momento, era in effetti, la prova al tempo di esecuzione della giuria. Allora come oggi, nessuno disse niente e le corti iniziarono a ricevere le confessione fornite dagli imputati. Che è stato fatto prima, rispetto a come viene fatto oggi. E che ora, il procuratore, ha l’onore di rivolgersi alla Corte, e che si distingue per l’amicizia di alcuni che hanno contribuito alla formazione della legge; e tutti hanno detto che è entrato per supportare tutti i mezzi di prova razionale .

Accettiamo, quindi, che tutte le prove debbano essere ammesse, compresa la confessione.

La confessione della sintesi è un elemento essenziale della fede; se non per quello che si riceve? Se la confessione della sintesi non è da considerarsi in seduta plenaria, allora, dopo quello che si è ricevuto, che cosa si è ottenuto? L’imputato, per la cronaca, dice la verità. Ma di questa verità che dice, non la dice in uno stato tranquillo, ma sotto shock. E quindi non è una vera confessione! Al processo avviene il contrario, e durante il tempo necessario passato  in carcere ha avuto il tempo di riflettere cosa dire nella confessione, in modo da trarne beneficio. Per comprendere questo, come possiamo dire con assolutezza quello che viene presentato al processo? Se ciò fosse fatto, la maggior parte delle volte, mancheranno degli elementi con cui stabilire l’accusa. Non si decide che si deve prescindere in assoluto da quello che risulta nel giudizio orale e ci si attiene solo alla confessione; da un lato e dall’altro, sarebbe vizioso. Il procuratore vuole che non vi sia la sola confessione degli imputati nell’intero processo.

(Sentito questo contesto, il pubblico ministero ha rifiutato di esaminare uno per uno tutti i convenuti, sottolineando la responsabilità di ogni parte, a suo parere, al crimine che ha portato a questo processo).

Note
(1) Nell’antica Roma, il decurione erano i funzionari che si occupavano di amministrare e governare le colonie ed i municipia per conto del potere centrale. In questo contesto, tali figure si ispiravano a quello che aveva lasciato il vecchio governo Napoleonico in Spagna -durante l’occupazione: si occupavano dell’amministrazione dell’associazione ed erano controllati da una figura centrale, che in questo caso specifico era la commissione dei fratelli Corbacho.

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