Non e’ possible separare il destino riservato ai detenuti al di la’ delle mura dale condizioni piu’ in generale riservate di questi tempi alla massa dei poveri della societa’. E’ questo che ha dimostrato l’ondata di sommosse del maggio 1985., portata Avanti soprattutto da imputati in attesa di giudizio e sviluppatasi unicamente nelle carceri giudiziarie – i penali non si sono mossi, ma tra i detenuti in attesa di giudizio ce ne sono sicuramente parecchi che saranno condannati a “lunghe pene” e andranno a finire laggiu’.
La maggior parte degli insorti apparteneva a questa categoria di imputati, i quail saranno alla fine condannati perlomeno a quanto hanno gia’ scontato prima della sentenza: si tratta dei “piccolo delinquent” che abbiamo maggiore occasione di incontrare all’esterno. La rivolta che rimbomba dentro le mura e’ la preoccupazione di una rivolta fuori, nei quartieri di periferia, e una conseguenza della sua repression.
Nella Francia del 1985, non sono rimasti che i galeotti ad avere ancora un cuore e uno spirit ribelli. Coloro che all’esterno sfuggono ancora al generale annientamento, si riconoscono per forza di cose nella ribellione dei detenuti: per i suoi contenuti, non possono che attribuirle un significato universal. Una cosa e’ certa, ovvero che la rivolta contro le carceri divampa anche all’esterno.
Questa ondata di rivolta era diretta allo stesso modo contro la prigione e contro la giustizia. Fino a quell momento, i detenuti attaccavano l’istituzione penitenziaria, ora attaccano anche l’istituzione penitenziaria. Prima si rivoltavano contro l’esecuzione della pena, adesso si rivoltano pure contro il giudizio della societa’. Fino ad allora protestavano contro il modo in cui erano trattati dentro le mura, oggi protestano contro il modo in cui sono trattati da una sociata’ il cui interesse generale e’ rappresentato dalla giustizia. L’insubordinazione dei prigionieri viene considerate dai sostenitori dello Stato tanto piu’ pericolosa quanto piu’ minaccia di far saltare tutto il sistema del diritto, che costituisce la chiave di volta dell’apparato statale e la valvola di sicurezza della societa’ Borghese. Ecco perche’ era logico che la loro rivolta trovasse un’eco fuori.
Il nostro scopo non e’ esattamente quello di sostenere fuori le rivendicazioni formulate dentro e che mirerebbero al miglioramento di qualche dettaglio del regime carcerario. Non e’ che storciamo il naso di fronte a tali rivendicazioni, perche’ sappiamo come vanno le cose in carcere. Cerchiamo soprattutto di combattere l’idea stessa della prigionia. Vogliamo arrivare alla distruzione di queste istituzioni maledette. Possiamo percio’ incoraggiare e raccogliere ogni forma di rivendicazione che contenga quest’unica richiesta vitale “aria!”.
Facendo parte di quelle persone che rischiano la prigione, ne rifiutiamo totalmente la fatalita’.
Per noi, poveri che aspirano alla ricchezza pratica, e’ difficile trovare parole per esprimere in modo chiaro la nostra ribellione e le nostre aspirazioni – le parole cioe’ per comprendersi l’un l’altro.
La strategia del nemico e’ duplice; fare in modo che i poveri si distolgono dale questioni di prima necessita’ e vadano a battersi contro i mulini a vento, e in tal modo impedire loro di incontrarsi e scoprire tensioni comuni.
Per ogni modo, l’imperativo e’ civilizzare quei selvaggi di poveri, compresi quelli che ha isolato la sociata’ nelle sue carceri. La battaglia delle idée infuria quindi su questo fronte. I sostenitori dello Stato sanno che avranno ragione della rivolta dei detenuti non tanto grazie alla mera forza, cui sono costretti a ricorrere in un primo tempo coi rischi che comporta, bensi’ con lo pseudo-dialogo, con la menzogna. Per questo noi dobbiamo far diventare questioni sociali le pretese questioni di diritto, facendo fallire l’operazione attualmente tentata dai piu’ moderni sostenitori dello Stato.
Rifiutiamo il concetto stesso di pena, i delinquent imprigionati incominciano ad accettare apertamente cio’ che sono nella sociata’. I detenuti sono consapevoli che un codice penale appartiene al suo tempo e allo stato corrispondente alla sociata’ in vigour; lo stesso accade per la procedura penale.
In carcere c’e’ ogni genere di individuo. Ma i detenuti sono soprattutto delinquent che la sociata’ ha deciso di isolare. Il termine delinquent non deve prestarsi a confusion. Il suo utilizzo cronico e’ frutto di un’epoca, per definire un insieme di comportamenti che hanno in commune l’effimero sgretolamento dei freni sociali e il disprezzo della legge, oltre cha alla proprieta’ altrui. Con questo termine, la sociata’ civile identifica il giovane che il sabato sera va a ballare per azzuffarsi, la casalinga che ruba al supermercato, il ragazzo che si improvvisa rapinatore, l’operaio che sottrae material alla sua fabbrica, o piu’ direttamente chi non vede altro mezzo per sopravvivere che rubare: ovvero tutti quei poveri che a diversi livelli essa non puo’ piu’ integrare completammente. E’ un’epoca in cui il lavoro e la legge non sono piu’ sacri agli occhi di molti poveri.
“Delinquente, 1429, dal latino delinquere, sottrarsi (al proprio dovere), de linquere, tralascaiare. Delinquent, XIV dal part. Pres. Delinquens. Delinquenza, XX (Larousse Etymologique)”.
Ogni genere di persona pretende di interessarsi all’insubordinazione dei detenuti. Molti, i riformisti, reclamano che la sociata’ riconosca ai prigionieri l’esercizio dei diritti. Ma cosa sono questi diritti? I diritti della difesa? Ma non si applicant che all’oggetto da giudicare, non all’oggetto della sentenza: la prigione e’ un universe in cui non si puo’ esserci posto per il “dibattito contradditorio”. I diritti dell’uomo o del cittadino? I diritti dell’uomo sono le prerogative e le garanzie riconosciute all’individuo atomizzato della societa’ Borghese, in cui c’e’ posto soltanto per due generi di individui: quelli che guadagnano il denaro e quelli che lavorano. Come potremmo, noi che non arricchiamo la sociata’ bensi’ le costiamo denaro, pensare di beneficiare di queste prerogative e garanzia? In virtu’ di quale attivita’ sociale di cui potremmo onorarci?
I diritti del cittadino? Il cittadino e’ l’individuo politico, cioe’ l’individuo astratto. Il detenuto non e’ un cittadino.
In quale misura i poveri hanno qualche diritto, civile o politico, nella sociata’ civile? Nella misura dell’obbligo. La societa’ civile definisce il complesso del “sistema dei bisogni e dei lavori”. I poveri vi partecipano solo perche’ fanno guadagnare soldi ad altri,a cui sono costretti a concedere, per forza di cose, lo sfruttamento del proprio lavoro. Il vero bisogno che il sistema sociale produce e riproduce per tutti e’ il bisogno di denaro. I poveri so sono esclusivamente sotto forma di mancanza, in seguito di necessita’. Solo i borghesi hanno un rapport positive con quest’essenza della sociata’. Quello dei poveri e’ il lavoro. Certo, la democrazia Borghese proclama che ciascuno e’ libero di guadagnare, riconoscendo a chiunque il diritto di fare affair. Ogni individuo puo’ quindi farsi strada nel mondo, ma esiste un solo mondo, quello degli affair. E la moderna societa’ Borghese, quell ache vediamo in Europa, negli USA o in Giappone, permette a molti poveri di illudersi di guadagnare. La costrizione che viene esercitata sul lavoratore salariato e la necessita’ che definisce tutti i suoi bisogni entro lo stesso limite, vengono cosi’ trasfigurati nel linguaggio della societa’. Il regno piu’ selvaggio della necessita’ viene trasformato magicamente nel suo contrario, ed e’ cosi’ che esistono lavoratori motivate, consumatori soddisfatti o rimborsati, elettori responsabili e anche galeotti che pagan oil loro debito alla sociata’….
La necessita’ di denaro regna attraverso una moltitudine di rapport giuridici che si perpetuano evidententemente attraverso la costrizione. E ogni forma di insoddisfazione, esprimendosi, costituisce una violazione di questi rapport, alla quale la sociata’ risponde attraverso la costrizione piu’ estrema, la prigione.. Chi non lavora mai e’ un maledetto.
Soltanto dall’interno delle carceri poteva prevenire questa critica sociale del diritto, poiche’, sebbene la giustizia condanni gli individui ad uno ad uno, essendo un suo affare private la sorte di ciascuno, poi li rinchiude tutti insieme. Ed e’ la’ che si creano le condizioni di una rivolta diretta in particolare contro l’autorita’ dell’Amministrazione Penitenziaria e contro le condizioni di reclusione, e piu’ in generale contro il sistema sociale che si fonda sulla prigione. E da la’, e in relazione a questa ribellione collettiva, che fuori puo’ emergere un movimento che non solo si riconosca in questa protesta umana, ma ne estenda gli sviluppi: qualcosa che non sia in opposizione unilateral con le conseguenze, ma in aperto conflitto con le presupposizioni dello Stato stesso.
I lavoratori in lotta possono battersi per esigere aumenti salariati. I detenuti in rivolta possono allo steso modo, attraverso la loro azione, riuscire ad ottenere riduzioni di pena. I prigionieri non lottano per una riforma generale della condizione carceraria, cosi’ come i lavoratori in sciopero non si preoccupano di una riforma del lavoro: lasciano questo genere di preoccupazioni ai burocrati sindacali. La sola cosa che i detenuti in rivolta possono ragionevolmente esigere nei limiti del sistema esistente, e’ un po’ d’aria. In ogni modo, le riforme vengono fatte e sempre per sedare il fuoco che cova. Cio’ che e’ stato ottenuto per migliorare il regime detentivo, lo e’ sempre stato a conclusion di una prove di forza con lo Stato. I detenuti sanno anche per esperienza che questi vantaggi strappati sono la minaccia del peggio si trasformano, tornata la calma, in un’ulteriore infamia.
La nozione di interesse generale e’ al centro di tutto il sistema di diritto contro cui si battono i rivoltosi. Lo Stato e i suoi sostenitori si richiamano continuamente ad essa, in contrasto con lo stato di Guerra latent che imperversa nella societa’ reale. Riescono a spingere le persone ad identificarsi con questo pretesto interesse generale nella misura in cui, nella Francia del 1985, ogni linea di demarcazione tra i poveri e la societa’ civile sembra cancellata; e dove la delinquenza fa spesso le sue vittime fra gli stessi poveri. Da un lato, i luoghi in cui circolano in abbondanza il denaro e le merci si trasformano sempre piu’ in fortezze inprendibili, dall’altro le condizioni cui deve assoggettarsi chi lavora si fanno sempre piu’ intollerabili. Ne derivano condizioni sempre piu’ aspre per quei poveri che non lavorano, accentuando l’isolamento di ciascuno nella sua ricerca di denaro (e la diffusion di eroina tra i giovani aggrava ancora di piu’ questo processo). L Stato e la borghesia erigono un sistema di difesa militare della proprieta’ private. Della circolazione del denaro e delle merci, scatenando nel contempo la Guerra di tutti contro tutti, il conflitto piu’ feroce dell’interesse solitario. L’autorita’ dello Stato ritrova cosi’ il proprio fondamento nella confuse ostilita’ che regna nella societa’ nel suo insieme.
La rivolta dei prigionieri appare allora come una possibilita’ di superare questo stato di fatto. La protesta contro la giustizia e il carcere cristallizza l’interesse generale di tutti i poveri assoggettati dalla necessita’ e che devono sopportare, sotto diverse forme, la repression esercita nel nome dell’interesse generale della societa’.
La solidarieta’ con le rivolte no fa appello al sentiment, non piu’ di quanto si rivolga a una pretesa pubblica. Abbiamo volute semplicemente parlare ai recluse. E il fatto che la loro ribellione sia stata abbastanza forte da trovare fuori una tale risposta non e’ il minore dei suoi meriti.
Yves Delhosie.
[Questo testo, una messa a punto teorica sulla solidarieta’ attiva espresso nei confronti delle sommosse all’epoca nelle carceri d’Oltralpe, e’ uscito sul numero 2 – novembre 1985 – della rivista francese “Os Cangaceiros”, pubblicata dall’omonimo gruppo. Ne riproduciamo ampi stralci. La versione integrale compare, assieme ad altri testi, cronologie, bibliografie e notizie sul gruppo, in Os Cangaceiros, un Crimine Chiamato Liberta’, NN/L’Arrembaggio, 2003, libro di cui raccomandiamo la lettura]
–estratto da “INVECE”, mensile anarchic, n.15, maggio 2012)