Internazionale Situazionista 1958-69
Nautilus, Torino 1994
La pubblicazione di questo libro rappresenta un evento. Per la prima volta, tutti i numeri della rivista dei situazionisti sono presentati in una traduzione integrale e, dicono, perfetta. Basta con gli “specialisti” alla Mirella Bandini e con i censori opportunisti. La verità innanzitutto. Finalmente, cosa ha veramente detto l’IS è sotto gli occhi di tutti.
Solo che, una volta riconosciuto il valore di un simile sforzo, bisognerà pur entrare nel merito e chiedersi cosa diavolo fare dell’Internazionale Situazionista. Intendiamoci, non che l’IS non abbia affermato cose interessanti. II fatto è che una critica radicale, per quanto penetrante e fondata possa essere, non costituisce di per sé una teoria rivoluzionaria, meno che mai un progetto di tal fatta. E non ci sarebbe nulla di male in tutto ciò, se non fosse che i situazionisti e i loro cultori hanno talmente promesso e garantito di aver “superato” tutto e tutti, di aver forgiato loro, e soltanto loro, le chiavi che apriranno le porte della rivoluzione – sempre lamentandosi dell’ignoranza che li circondava – che la lettura di questa antologia lascia quasi stupefatti. Viene il dubbio che il fascino esercitato da sempre dalle idee situazioniste sia dovuto piuttosto alla loro brillantezza espositiva.
In queste pagine, più che nei testi teorici di Debord e di Vaneigem, c’è l’IS in azione, la sua spesso decantata vita quotidiana. Ora, anche tenuto conto del periodo e del contesto in cui si muovevano, è difficile non rimanere perplessi di fronte a questi marxisti-libertari che comunicano di aver “epurato” le sezioni dissidenti; alla loro apologia delle virtù tecnologiche; al loro linguaggio autoreferenziale, compiaciuto, declamatorio; alla loro esplicita rivendicazione per sé del «potere della cultura»; alla loro idealistica concezione del capitale come negazione dell’umanità, cui sanno contrapporre solo una specie di umanesimo radicale; alle perle sull’organizzazione portatrice di coscienza – tanto per fare alcuni esempi. Per non parlare poi dell’aspetto formale, come le fotografie che li ritraggono seduti attorno a un tavolino a discutere di «strategia rivoluzionaria».
Certamente l’IS è stata una reazione a una data epoca, quella degli anni ’50 e ’60, quando il cosiddetto modernismo pretendeva sotterrare la questione rivoluzionaria; ed è stata una reazione anche alla vecchia politica che auspicava una rivoluzione solo per offrire agli operai quei vantaggi economici o quel potere che il Capitale non era disposto a concedergli. Il merito dell’IS, quindi, è stato di aver ribadito l’attualità della rivoluzione in un periodo in cui, come questo che stiamo attraversando, non era permesso nemmeno parlarne.
Tuttavia l’IS non è stata solo una reazione, ma anche un prolungamento di ciò che perentoriamente denunciava, poi riprodotto e perpetuato. La sua esigenza di coerenza e la coerenza del suo stile non fanno che mascherare il suo continuo contraddirsi. La sua negazione dell’arte, della politica, dell’economia, dell’ideologia viene comunque effettuata in modo artistico, politico, economico, ideologico. Questa contraddizione non è stata un ostacolo al successo dell’IS, ne ha costituito la ragione. II pubblico consuma la critica dei consumi. È affascinato dalla società dello spettacolo. La fine del potere e del proletariato si conclude nel potere assoluto dei Consigli operai. Questi «rivoluzionari professionali della cultura», che tanto si sono vantati di essere non ideologici, erano in realtà intrisi di ideologia fino al midollo.
Segnaliamo per dovere di cronaca l’introduzione che apre questo volume, dove il suo autore, Mario Lippolis, ci fornisce un notevole esempio della miseria nell’ambiente post-situazionista. denuncia il complotto ordito nei confronti dell’IS, prendendosela con coloro che non si sono inginocchiati di fronte a cotanto genio (in quanto imbecilli, retrogradi, in malafede, invidiosi o quant’altro); si rammarica che il proletariato non abbia fatto la rivoluzione, naturalmente perché non ha “applicato” l’IS; per tessere alla fine sperticate lodi al Maestro e ai suoi discepoli, quindi a se stesso, consapevole di appartenere all’élite composta da «i più lucidi e i più coraggiosi».
[“Canenero”, n. 3, 11 novembre 1994]