Dal carcere, una lettera di Claudio Lavazza.
Fare un dibattito, di certo necessario, e’ un po’ difficile . E’ vero cio’ che dite su di me (sono piu’ d’azione che di penna).
In ogni caso credo che una cosa importante per cominciare a conoscerci, sia raccontare un poco di esperienza politica nel corso della mia vita, del perche’ a un ragazzo di 14 anni che lavorava in una fabbrica un giorno si risveglio’ il desiderio della liberta’, convinto cosi presto che solo la ribellione verso il Sistema nel suo insieme ti da’ la vera ansia per vivere.
Del perche’ non dimentichero’ mai le parole di Francisco Ferrer quando diceva che:
“la ribellione contro l’oppressione e’ semplicemente una questione di stabilita’, di puro equilibrio: tra un uomo e un altro uomo perfettamente uguali, gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti, non ci possono essere differenze sociali. Se ci sono, mentre gli uni abusano e tiranneggiano, gli altri protestano e odiano, la Ribellione e’ una tendenza livellatrice e per tanto razionale, naturale. Gli oppressi, gli spogliati, gli sfruttati, devono essere ribelli perche’ devono conquistare i loro diritti fino ad arrivare alla completa e perfetta partecipazione nel Patrimonio Universale”.
Con queste parole nella testa e con una vita da operaio davanti a me, cominciai il mio cammino. Un giorno mentre lavoravo ad una macchina pensando a tutto questo, un pezzo del peso di 50 Kg. si sgancio e cadde da 2 m. di altezza. Per pura fortuna – dovuta ai miei buoni riflessi – potei evitare che mi sfondasse il cranio.
“Cosi facilmente puo’ morire un uomo in una fabbrica”?, mi domandai preoccupato. E per un salario di 350.000 1ire al mese? No, certamente quella non era vita, ne’ per me ne’ per nessun essere umano…., morire in un modo cosi stupido per arricchire uno Stato cosi arrogante con i piu’ umili.
Ci sono mille modi di essere ribelli e sempre dipende dal livello di ognuno. Non mettersi in ginocchio di fronte al sistema implica rischio e pericolo (perdere la liberta’, o la vita). Lottare contro l’umiliazione del lavoro salariato e’ una sce1ta di vita, rubare ai ricchi e l’unica scelta da fare per non sentirsi umiliato ogni giorno.
L’ideale anarchico comincio’ a nascere dopo vari anni di lotta nell’Autonomia Operaia. Di quei tempi il ricordo delle grandi manifestazioni e’ ancora ben vivo, quando 20-30mila compagni si prendevano la strada: la citta’ era nostra, forte era 1’orgoglio di gridare al mondo che li c’eravamo noi operai, i senza lavoro, gli occupanti, gli studenti senza futuro, i poveri.
Per un certo periodo i sogni sembrarono trasformarsi in realta’, nello stare tutti uniti in quella maniera, il mondo nuovo sembrava realizzabile.
Furono anni di duro lavoro, pero’ di un lavoro che ne valeva la pena. Furono anche anni di lacrime, avendo di fronte un nemico cosi’ spietato che per nulla al mondo era disposto a cedere un solo millimetro del suo potere. Comincio’ la repressione e con essa tanti compagni assassinati in mezzo alla strada per mano della Polizia e dei Carabinieri, tante torture e tante morti nelle carceri, nei commissariati, tanti anni di carcere per aver partecipato ad manifestazione.
Non si puo’ dimenticare che l’Italia fu vicina ad un colpo di Stato (strategia della tensione), con bombe fasciste nei treni, nelle stazioni (Bologna, 80 morti), provocazioni delle quali i mass-media in generale, ci davano la colpa, e l’anarchico Pinelli pago’ con la sua vita (morendo assassinato in un commissariato di Milano). Da qui la mia decisione di passare alla lotta armata: le sole manifestazioni non bastano a fermare la tremenda forza assassina di uno Stato, c’era bisogno di proteggere i compagni, e con le armi in mano, c’erano bisogno di nuove forme di lottare per il Popolo e con il Popolo, arrivo’ il momento di vendicare i nostri.
Ogni individuo, ogni gruppo con un modo diverso di interpretare 1a Rivoluzione, pero’ tutti uniti (cosi mi era sembrato), nel distruggere una volta per tutte lo Stato golpista e i suoi collaboratori, politici, sbirri, giudici, giornalisti e simpatizzanti di Pinochet.
Con questa passione ho vissuto gli anni ’70 e in questo modo continuo a pensare. Se non ho voluto ritirarmi in un’isola a vivere di rendita e perche’ non ho ancora trovato un paese dove non esista l’ingiustizia. E adesso, nella solitudine di una cella d’isolamento, a meta’ del cammino della mia vita, continuo ad amare quelle parole:
“L’unica lotta che si puo’ perdere e quella che si abbandona”.
Questa e’ una piccola parte della mia vita pensando a compagni di questo movimento e di questa generazione in lotta.
Un abbraccio fortissimo e un saluto anarchico.
Claudio
Claudio e’ detenuto a Jaen, entro pochi mesi dovrebbe iniziare il processo (a lui e ad altri 3 compagni) per rapina ed omicidio (assalto al Banco di santander, dicembre ’96). Per Claudio l’accusa ha chiesto 50 anni di carcere.
Prision Provincial de Jae’n, carretera Bailen Motril kmtro 8, 23080, Jaen
Comitato Difesa Anarchici
El Paso occupato