Fronte del Tav. Tra resistenza e repressione

Era nell’aria. Si era capito da tempo che la procura di Torino aveva intenzione di fare un processo esemplare, per colpire a fondo un movimento che, dopo un anno di lotta durissima, non molla e non si piega.

Giancarlo Caselli, il regista dell’operazione, l’uomo del PD a capo della procura, è confermato nella carica, nonostante il superamento dei limiti di età. Subito dopo viene resa nota l’agenda del processo No Tav. L’udienza preliminare è stata fissata il sei luglio. Poi si procederà a tappe forzate per l’intero mese: un’udienza al giorno, sabati compresi, sino alla fine del mese. Un vero tour de force, una procedura adottata solo per i grandi processi di mafia o per procedimenti di grande rilievo mediatico.
Dei No Tav arrestati il 26 gennaio ne restano in carcere quattro, altri sono ai domiciliari, altri ancora subiscono restrizioni varie.
Il 6 luglio alla sbarra ci saranno 46 No Tav: la procura ha ottenuto dal Gip il rinvio a giudizio per tutti i compagni e le compagne sinora coinvolti nell’inchiesta per la resistenza allo sgombero della Libera Repubblica dello scorso 27 giugno e per la manifestazione nazionale del 3 luglio.
Caselli vuole delle condanne e le vuole in fretta. Nel frattempo con ogni probabilità si prepara a sparare altre frecce dalla sua faretra.
Non sono bastate le botte, il gas, la violenza dell’occupazione militare che sta stringendo in una morsa di ferro il territorio della Maddalena. Non sono bastate le lusinghe e nemmeno i sei milioni di euro elargiti ad un consorzio di imprese valsusine che non poteva non vincere l’appalto per varie forniture per il cantiere della Maddalena. Adesso vogliono mostrare i muscoli il più possibile.

Siamo alle soglie di un’estate di lotta No Tav e la magistratura vuole segnare il primo punto.
Il momento, inutile nasconderselo, è molto difficile. Dall’11 aprile, quando l’occupazione dei terreni per il tunnel geognostico è stata legalizzata in fretta e furia con la definizione delle procedure di occupazione “temporanea”, il cantiere è divenuto una realtà.
Il deserto che lentamente era avanzato per mesi e mesi si è saldamente installato nel cuore della Clarea. Il movimento è stato obbligato a guardarsi in faccia ed a prendere atto che, per la prima volta dopo vent’anni, i signori del cemento e del tondino avevano segnato un punto. La partita non è finita, ma ora si gioca in svantaggio. Certo il campionato è lungo e sarà ancora più lungo se ogni partita finirà ai supplementari, ma lo svantaggio psicologico resta.
Se, in tempi di crisi, il tempo non può che giocare a favore dei No Tav, tuttavia un apparato fatto di professionisti della violenza si logora meno di un popolo di gente normale, che ruba al lavoro, allo studio e agli affetti il tempo per continuare a presidiare il territorio, per le iniziative di informazione e lotta popolare.
A metà giugno partirà un campeggio No Tav a Chiomonte, prima del ponte sulla Dora, nei pressi del cancello che chiude l’area militarizzata. Nella prima settimana vi si sono dati appuntamento gli studenti del giro dell’autonomia, poi dovrebbe essere gestito collettivamente dal movimento No Tav.
Contemporaneamente si stanno delineando i contorni di una vasta campagna di lotta contro le ditte che lucrano sul Tav, contro le forze politiche che più lo appoggiano, contro le truppe di occupazione.
Ci saranno assemblee informative in varie località della valle, perché la scommessa importante è quella della partecipazione popolare ad una campagna necessaria ma difficilissima, nel clima di criminalizzazione alimentato, giorno, dopo giorno, dai media.
Già venerdì 8 giugno sulle pagine della stampa il campeggio e le campagne di lotta sono state descritte a fosche tinte, come iniziative promosse e volute dagli anarchici. È il solito gioco: disegnare un movimento pacifico, ostaggio delle iniziative delle minoranze più radicali e degli estremisti venuti da fuori.
Diviene perciò cruciale che l’estate sia luogo di incontro e di scambio tra movimento locale e solidali che parteciperanno alle iniziative del campeggio. Lo scorso anno, complice la fatica di quaranta giorni di resistenza alla Maddalena, il campeggio/presidio della centrale venne vissuto più da quelli di fuori che dalla gente del movimento, creando talora uno scollamento, che oggi il movimento contro la Torino Lyon non può più permettersi.
I ribelli nei boschi della foresta di Sherwood sono un bel sogno romantico, ma rischiano di fare il gioco dell’avversario, che si rafforza quando la pressione si limita alla Clarea, mentre perde colpi quando la lotta si espande capillarmente sul territorio. Il cantiere/fortino è una trappola nella quale ci siamo impigliati sin troppo a lungo, consentendo al governo di gasare, pestare, umiliare come in guerra, criminalizzando ogni forma di resistenza e attacco alle truppe di occupazione.
Abbiamo segnato un punto, mettendo in difficoltà l’avversario solo uscendo dal catino della Clarea e riversandoci per strade ed autostrade, in luoghi dove anche nei momenti più duri la partecipazione popolare è stata sempre molto alta. In dicembre ed in febbraio sull’autostrada abbiamo respirato di nuovo l’aria della Libera Repubblica, dove tutti partecipavano, ciascuno a suo modo, ciascuno secondo le proprie capacità e volontà, senza specialisti, tutti insieme.
Le campagne contro ditte, partiti e militari sono cruciali, ma vanno agite nel modo migliore, mettendo insieme forza nel bloccare ed inceppare e capacità comunicativa, velocità ed imprevedibilità e partecipazione popolare. È un meccanismo da preparare e oliare con cura. Se ci riusciremo non è detto che non si riescano a porre le condizioni per segnare il nostro goal.
(questo articolo uscirà sul prossimo numero di Umanità Nova)

 

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