fonte: qn.quotidiano.net
«È TUTTO un altro mondo: è inutile dire che noi non c’entriamo nulla con loro».
È la premessa imprescindibile di Mauro De Cortes, libraio dell’Utopia di Milano e storico esponente del circolo anarchico «Il Ponte della Ghisolfa», nel quale hanno militato anche Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. Senz’appello il suo giudizio sulle azioni rivendicate dalla Federazione anarchica informale, che ieri è tornata a farsi viva sul web, minacciando una sorta di guerra a bassa intensità in chiave anti-Olimpiadi di Londra: «Noi siamo completamente estranei e contrari a questo genere di azioni — tiene a sottolineare De Cortes —. Noi le cose le abbiamo fatte, le facciamo e continueremo a farle sempre alla luce del sole: è la nostra storia a dimostrarlo». Di più, «quella sigla la trovo anche un po’ fastidiosa e tutt’altro che bella».
In che senso?
«Nel senso che può essere facilmente confusa con un’altra sigla, che è quella della Federazione anarchica italiana. Premesso che io non so assolutamente nulla di coloro che si firmano come Federazione anarchica informale, trovo che sia un modo poco chiaro di rivendicare un’azione: è come se le Brigate Rosse si fossero firmate come Partito comunista insurrezionale, tentando di confondersi col Partito comunista italiano…».
Questo le fa pensare che gli autori di questi gesti vogliano confondere le acque deliberatamente? O che magari siano eterodiretti da qualcuno?
«Non lo so, perché non li conosco. Mi sembra curioso, diciamo così, anche se aspetterei prima di esprimere un giudizio: rischieremmo di fare ipotesi e supposizioni senza avere un quadro chiaro della situazione. Detto questo, ribadisco, e non potrebbe essere altrimenti, la nostra assoluta estraneità e contrarietà: noi le cose le facciamo alla luce del sole. Ad esempio, il prossimo 6 luglio, giorno del decimo anniversario della morte di Pietro Valpreda, diremo qualcosa di più articolato sul film ‘Romanzo di una strage’ di Marco Tullio Giordana».
A proposito di piazza Fontana, più di quarant’anni dopo rispuntano ancora gli anarchici. Anarchici che poi la storia e le sentenze giudiziarie hanno dimostrato essere completamente estranei a quel tragico fatto di sangue.
«Appunto. Magari tra qualche tempo, non so immaginare quando, si verrà a sapere qualcosa di più su questa Fai. Al momento, ho solo dubbi».
Vede analogie con quello o altri momenti storici dell’Italia?
«In questo periodo, come in altri, la gente ha sviluppato tante paure, alimentate dal fatto che all’orizzonte non si riesce a vedere nulla di buono. Queste azioni non fanno altro che alimentare quelle paure. Noi, invece, siamo convinti che i diritti si difendano con operazioni di tipo culturale».
Ma vi sarete interrogati in queste ultime settimane sulle azioni rivendicate dalla Fai?
«Più che l’altro, ci interessa capire meglio, come a tutti del resto. Senza particolare ansia, però: ci tocca sì, ma come tutti i fatti che accadono nel mondo. Né più né meno. Mi pare che l’unica cosa certa sia che non ci troviamo davanti a dei Che Guevara che stanno provando a fare la rivoluzione: mi sembra davvero un altro mondo, e noi non vogliamo averci nulla a che fare».