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Tratto da My Own #2 (N. 2 Marzo 2012)
Io e la Mia Proprietà: Interazione Egoista, parte I
(Questa è la seconda parte della serie iniziata con “Cos’è un individuo?” in My Own #1)
«Tu, l’Unico, sei “l’Unico” solo insieme alla “tua proprietà”.» Max Stirner
La dichiarazione di Stirner precisa che la mia vita e me stesso sono composti da interazioni. Da ciò, capisco che se voglio creare deliberatamente la mia vita come propriamente mia ho anche bisogno di creare deliberatamente queste interazioni. Ho bisogno quindi di entrare in ogni interazione con un intento chiaro. Gran parte della gente potrebbe ritenere che io abbia sempre avere un obiettivo o un proposito per l’interazione, ma io considero l’intenzionalità come qualcosa di più ampio. Essa può anche consistere nel dare il mio immediato senso o comprensione all’interazione. Nell’attuale contesto sociale, mi ritrovo spesso costretto a prendere parte ad interazioni che non ho scelto, ed è qui che una tale differenza acquistano significato. Come rendo mie queste interazioni?
Quando un’interazione è totalmente o in parte una relazione sociale, la rendo mia sovvertendola o distruggendola. Se l’interazione è interamente una relazione sociale (come quando acquisto un articolo al supermercato), per me è più saggio sovvertirla al di fuori di un’insurrezione su larga scala. Ma questo cosa significa? Come posso prendere parte a questa interazione in modo da metterla in questione al suo livello più basilare?
C’è una falsa percezione delle relazioni sociali che intralcia la loro sovversione. Le relazioni sono attività, processi, interazioni, non esseri o cose che agiscono o che hanno volontà. Quando agisco o mi relaziono, ho volontà una volta che ho reso propriamente mia l’attività o la relazione. Visto che la classe, la razza, il genere, ecc, sono relazioni sociali, esse non possono avere né volontà né consapevolezza. Quando ritengo che esse ce l’abbiano, la mia percezione del mondo diventa perseguitata dai fantasmi; io vengo posseduto dalla mia falsa percezione di queste relazioni. Di nuovo io, come un individuo che interagisce con altri in quanto individui, creo queste relazioni con la mia partecipazione. Se considero queste relazioni come gruppi ai quali appartenere, le trasformo in identità che creano me (o più precisamente tramite le quali io creo me stess onon deliberatamente forse con l’aiuto più ostinato di quelli che impongono l’identità cristallizzata). Questa false percezione è un veleno che uccide ogni possibilità per un’autocreazione deliberata. Ma quando mi rendo conto che tutte le relazioni sociali sono attività che tu ed io realizziamo come abitudini prodotte e riprodotte dal contesto sociale (come le quotidiane e sconsiderate attività di individui che cercano di mantenersi in un mondo basato sulla loro schiavitù) piuttosto che create volontariamente, io apro la porta ad una deliberata sovversione di queste relazioni.
Dall’altro lato, queste interazioni che hanno un significativo aspetto non sociale, personale e individuale – come l’amore e l’amicizia – mi offrono la possibilità di esaminare gli aspetti al loro interno che sono stati definiti e circoscritti socialmente, cosi io posso sradicarle e distruggerle, rendendo davvero miei gli amori e le amicizie, cercando modi con i quali io interagisco con la creazione di queste interazioni come ognuno di noi ritiene opportuno.
In tutte le mie interazioni, io mi muovo negli ambienti, attraverso spazi specifici. Anche qui, devo muovermi con caparbia, con l’intenzione, consapevole di cosa incontro e di cosa voglio fare con essa. La mia prima intenzione nel passare attraverso ogni ambiente è di cercare cosa posso usare nella creazione in corso di me stesso e della mia vita. Visto che ciò è un processo di realizzazione continua, senza un prodotto finale, senza una cristalizzazione finale, il mio muovermi in ogni ambiente sarà un muovermi vagabondo, un muovermi senza meta finale, un’esplorazione ludica e in divenire e un esperimento. Tutti i tentativi di cristallizzare me stesso e le mie interazioni in un qualche definito prodotto finale sono nemici della mia autocreazione deliberata, anche quando sono io quello che li ha iniziati.
proseguirà nel numero #3
* Generalmente evito l’uso della parola “consapevolezza” a causa del grande bagaglio filosofico che comporta, ma visto che molti teorici radicali parlano di “consapevolezza di classe” e cosi via, ho ritenuto che qui fosse necessario.