Sante Pollastro incontra Renzo Novatore, il poeta assaltatore

-Sono Novatore. Renzo Novatore…
Non un colpo di pistola sparato a pelo, non la corsa, il parapiglia, la tempesta, un quarantotto.

Niente e nulla messo in pari. Un’onda di elettrica prestanza pervase il cuore del nostro. Dunque li, innanzi il fiato, v’era il velocipiede del pensiero libertario. Bene aveva dunque inteso, l’importanza di quell’arrivo nella Novi sovversiva, quanto basta per pretendere l’incontro notturno in osteria. Quell’uomo sui trent’anni, occhi grandi già sfregiati dall’inquieta bellezza che t’impone il randagismo, era dunque il Novatore.
Nato in quell’Arcola, ampia terra di rivolte, bestiali amori.
-E io sono…
-Sante. Sante Pollastri di Novi…- incise svelto il Novatore.
-Ma Pollastro lo preferisco…
-Comunque sei tu. Questa conta…
-Credo di si…
Trinca forte il Novatore. Beve il rosso dei suoi giorni maledetti. Il poeta futurista futurista, stirneriano dalle braghe ricolme d’esplosivi…
Perchè mai, dal Golfo dei poeti ai marmi rossoneri di Carrara, il Novatore si era rifugiato a Novi ?
Certe vite son giocate come i dadi. E’ fatale, di sghimbescio. Lo sa il Sante. Nella carne carne se la sente gorgogliare, ‘sta verità. Cosi tace, non domanda; ch’è già meglio per rispetto d’una scelta intemerata. Novatore non ha bisogno d’imbastire spiegazioni. Nel concreto del momento, gli è toccato darsela a gambe colla bomba e il pistolone predisposti alla cintura, inseguito dalla grave accusa d’aver assaltato la regia polveriera di La Spezia, fatto, questo, in aggiunta alla seminagione di denunzie e condanne, oltremodo imperdonabile. Nonostante la riviera levantina abbondasse di complici amicizie, certo meglio risultava il passaggio tra i monti genovesi alla volta di Novi, la sovversiva. Poi chissà….
Renzo Novatore non è il Sante. Ha trascorso gli anni verdemarci in lunghe, devastanti solitudini, tra i fogli disperati dell’utopia libertaria. Parla nel tipico nitore degli estremi della Liguria che già invogliano ai toscani.
– E’ la fine…- ammette pallido di malasorte, il poeta assaltatore.  Una ruga di disgrazia gli si torce sulla fronte. – Qualsiasi speranza politica l’è ormai compromessa. Sono fuggito. Ho dovuto infine farlo…
Fuggito si. Dopo aver spedito a gambe all’aria un plotone di regi carabinieri giunti ad arrestarlo per l’assalto alla polveriera. Era solo, quel giorno dannato, il Novatore. Solo nella casa sui picchi della val di Magra, ma in bella compagnia di due pistole e quattro bombe Sipe. Non è stato poi difficile, dall’alto  del tetto, bersagliare alla furiosa la camionetta militare sopraggiunta con intenti micidiali, sette grandi di piombo sparati alla svelta, due bombe tra la ruota e lo sportello più che sufficienti a imprimere una svolta decisiva.
Poi, la fuga. Tra i monti briganteschi…
– Ma non ho ucciso nessuno. Loro si. Sono sicuro…l’avrebbero certo fatto…per questo ho sparato…per vivere…
E lo sguardo, lancinante, gli era intorno pari a un lupo che si inquieta.
-… la nostra fiamma sarà estinta, questa l’è ormai certo. Ma prima d’allora… Ho sentito molto parlare di te. Sante Pollastro. Sei un anarchico del fatto. Dove altri solo parole buttate al vento…

La strada sepreggiava dalle stamberghe del borgo di San Bernardino ai contrafforti del Monferrato, cosi da contemplare, per lontananze estese, più ancora desideri, le asprezze montuose, il certo orizzonte.
Là il rombo che arriva, scuote, spezza, ringhia, assalta il vento.
In forma di bicicletta. Gatto scaltro di ringhiera il bel Sante mira la distanza che divide lui, l’Emilio, il Gigi De Luisi e il Novatore da quella nuvola polverenta che t’incede pedalando a tutta birra.
Mentre quello s’avvicina. E’ un uomo sulla cinquantina, virilmenta a cavallo di una Bianchi lanciata in corsa. Quasi avesse un ladro appresso. Toh, la vita. Non s’avvede, il poveretto, che la falce della sventura semmai gli è di fronte, come un vizio ricorrente, la cambiale che ti scade. Che t’attende: s’arma e mira.
-Senza un colpo. Guai a chi che spàra…- avverte il Sante.
No. Come ha detto il Novatore, ammazzare non attiene precisamente all’etica libertaria.

Niente treni, nè scassi, nè grattaggi di basso rango. Per un mese, il Sante e il Novatore si trasformano in segugi. Apre la banca. Chiude la banca. Occorre dar conto più all’orologio che alle pistole. Chè per seguire l’uomo preso di mira, mica serve la canna in tasca. Anzi. Con falsi documenti, giacche fini e cravattino, si può fare addirittura un figurone…

Con la pingue borsa dei valori al braccio. Si ferma in posta, negli uffici del comune. Sale scale di notai, avvocati, bottegai. Passa un’ora, un’altra ancora, e s’infogna bello quieto in un caffè, un vermut, uno stuzzico di pane, allo specchio, sulla destra del bancone, fa ispezione fra i molari e gli incisivi casomai un malevolo crostino gli insidiasse la dentiera ben sbiancata. Poi riprende a pedalare per la banca. Tempo un fiato, ne esce ancora. Questa volta è a mani vuote, poca lira nelle tasche, quanto basta per due commissioni a favore del cassiere. Salumiere, prestinaio, qualche volta il farmacista. Quasi mai il pasticciere, chè il decoro ne risente.
Carlo Casalegno, già maresciallo dei Regi carabinieri, ora in congedo, fattorino tuttofare della Banca dell’Agricoltura, filiale di Tortona, si rinsella e va per la sua strada. Con la borsa dei quattrini tra l’ascella e la pistola fila dritto verso casa. Fine giornata.

Tutto organizzato. A bloccare il Casalegno si fa avanti il Novatore, ben armato di Mauser pronta al colpo, mentre al Gigi De Luisi tocca l’onore di sfilargli la due ruote. Il Sante sarà a due passi, la Browning in mano, che peraltro servirà solamente al buon consiglio. Niente spari, è la consegna. Ci ha l’orgoglio ben stagnato nei talloni, nei polpacci, nei coglioni, iL Carletto Casalegno. Si sarebbe dovuto intuirlo da come, disinvoltamente, con la seriosa perizia dei mastini, sfrecciava da un ufficio a un ufficio adempiendo alle commesse bancarie.
Spalle larghe, culo quadro, fortemente motivato, non son le ruote della Bianchi ma i suoi polmoni che sbuffano d’intorno la nuvola polverosa. Ormai s’avvicina, spande forza primitiva, serra i denti, sposta il peso, è animata l’osessione della corsa. E un d’un botto, i ladroni gambe larghe a sbarragli la strada, digrignando cuore e freni lui s’arresta. Sbarra gli occhi. Si tace. Al Sante la parola.
– I soldi. fuori i soldi…senza scherzi. Che te fèmo niente…-suggerisce la pistola

Novatore cela un gatto imbizzarito nelle chiappe.
Il commesso rapido si sfila dal sellino
-Andate via. Che se nò sparo…
-State attenti! gh’ha la rivoltella!- sfiata il Sante.
Novatore avanza in furia, forte brancando il braccio dell’omone, che reagisce, schianta un urlo, con un pungno ben stampato centra il grugno del poetico brigante. In un baleno la lotta scoppia cruda. A dar man forte al Novatore, arriva il De luisi che sgambetta il Casalegno culo in terra.
Ma l’omone mica molla. Novatore, nel trambusto baraccone, poco manca una piede in bocca, mentre quello si fa riccio sulla borsa dei valori, e non cede, non demorde, strattonato all’impazzata si rincagna da molosso belluino.
Molla, rampa, tira, sgagna. Il Santèin capisce che qualcosa tira storto. Casalegno resiste. Contrattacca. O pesti una botta, e di quelle ricamate d’uncinetto, o finisce che daverro la pistola che l’omone si trattiene tra le braghe, vuoi per disgrazia fulminante, sferri il colpo maledetto.
Svelto ardito, manca poco che si getta nella mischia, quando un proiettile, silurante, fulmina improvviso…
Pèmm!
Nella foga, un grilletto delicato. Novatore s’alza a molla. Sbarra gli occhi, leva il pugno che stringe la Mauser micidiale. Dalla canna a sigaretta, quanto basta per capire. Solo un colpo. Disattento. Figlio insano del trambusto di una lotta. Il Sante guarda e tace. Strozzo in gola. Casalegno è morto secco. Con un colpo al petto, una rosa sanguinolenta a condirgli la giacca.

 

 

 

da “il diavolo custode” di Luigi Balocchi

 

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