La banda Bonnot – Prima parte

Introduzione

Capitolo uno – Dall’illegalità all’illegalismo

 

La proprietà è un furto. La proprietà è libertà
Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865)


A- Creare una virtù di necessità
Quasi tutti gli illegalisti che erano stati associati con la Banda Bonnot, erano nati alla fine del 1880 o nei primi anni del 1890 e vivevano in una società completamente lacerata da divisioni di classe. Soprattutto, fu la soppressione della Comune di Parigi nel 1871, che aveva consolidato il clima di odio reciproco tra i lavoratori e la borghesia. La Comune, che fu un tentativo minimo di socialismo da parte dei lavoratori e dei poveri petit-bourgeois, era stata annegato nel sangue di trentamila persone da un esercito che agì su istruzioni di una classe dirigente infuriata a questa sfida al loro monopolio del potere. La sanguinosa repressione della Comune, aveva segnato la nascita della Terza Repubblica, ed era servita come monito costante per i lavoratori, di cui nulla si potevano aspettare da questo “Nuovo Ordine Nuovo” se non la repressione più brutale.

La memoria di questi tragici eventi del 1871, aveva lasciato una ricca eredità di odio di classe, quello che gli anarchici francesi identificarono e che speravano di sfruttare. Con le organizzazioni rivoluzionarie fuori legge, e tutte le forme di attività di lavoro messe al bando dalla classe politica, gli anarchici e i sindacalisti erano stati costretti ad operare in clandestinità o in maniera illegale. Con tali modalità di comportamento, era diventata di norma, per gli anarchici, acquisire un gusto per l’illegalità, e che si protrasse fino al momento in cui la Banda Bonnot compiva le sue azioni. Gli anni ’70 del XIX° secolo, erano stati anni di vacche magre per i rivoluzionari, ed era stato solo negli anni ’80 del XIX° secolo, che l’anarchismo francese era decollato veramente. L’amnistia concessa ai comunardi deportati in Nuova Caledonia -nel 1880- segnava il ritorno di migliaia di rivoluzionari temprati dal loro esilio. Un forte e fresco impulso era stato dato al movimento rivoluzionario e, “Parigi tremava per l’eccitazione”, secondo un osservatore della polizia. Entro un paio di anni, vi erano circa quaranta gruppi anarchici in Francia, con duemila cinquecento membri attivi, tra cui forse 500 a Parigi e nella città di Bonnot, Lione. Nel giro di un decennio, la stampa anarchica vendeva oltre diecimila giornali a settimana. I gruppi anarchici adottarono nomi come “Odio”, “Dinamite”, “La spada”, “Vipera”, “La pantera di Batignolles” e “Il Terrore de La Ciotat”, come un’indicazione del loro atteggiamento aggressivo nei confronti della società borghese. Allo stesso tempo, la teoria anarchica era stata resa più accettabile, ed era stata proposta la “comune” come base pratica per l’organizzazione della nuova società, in opposizione al “collettivo”; il “bisogno” era diventato il nuovo criterio per la distribuzione di beni e servizi, i quali dovevano essere liberamente accessibile a tutti, a prescindere dal lavoro che ciascuna persona aveva fatto. Nacque così l’anarco-comunismo.

Tutta l’attività e la propaganda anarchica era centrata sulla lotta di classe, che era diventata particolarmente amara e violenta fino alla metà degli anni ’90 del XIX° secolo. Uno sciopero dei minatori a Montceau, aveva provocato l’incendio e il saccheggio delle scuole religiose e delle cappelle, e si concluse con la distruzione delle chiese e delle case dei proprietari con la dinamite. Molti altri scioperi, finirono con violenti scontri tra manifestanti e la polizia o l’esercito e, occasionalmente, divennero tumulti con saccheggi. La fede anarchica ne l’azione diretta violenta, formulata nella “propaganda con il fatto” (piuttosto che nella parola), riflette il particolare amaro di queste lotte. La propaganda col fatto è stato tradotto in azione in tre forme: insurrezione, assassinio e lancio di bombe. Il metodo insurrezionale, che si era rivelata una sorta di fiasco in Spagna e in Italia negli anni ’70, non era stato sperimentato in Francia. Invece, l’assassinio era diventata la principale arma di vendetta contro la borghesia e le polene dello Stato. La prima ondata di tentativi di omicidi era diretto contro i leader politici in tutta Europa: in cinque anni, dal 1878, vi erano stati dei tentativi di assassini contro il Kaiser tedesco, il re di Spagna, il re d’Italia e il Primo Ministro francese. La morte dell’Imperatore russo, Alessandro II, causato dall’attentato de la “Narodnaja volja”, era, tuttavia, l’unica corretta esecuzione rivoluzionaria di un monarca regnante. I tentativi di assassinare i capi di Stato, furono fatti dopo dieci anni da questo fatto: nel 1894 il primo ministro francese era stato pugnalato a morte, e nel decennio successivo, vi fu la morte spettacolare di un Primo Ministro spagnolo, di un re italiano, di un’imperatrice austriaca e di un presidente degli Stati Uniti. In Francia, il divario tra queste due ondate di omicidi politici, era stato caratterizzato dai tentativi di assassinio dei sostenitori dell’ordine dominante, detto in un senso più generale. Questa volta le vittime erano stati datori di lavoro, un facoltoso medico, un prete e degli intermediari nella Borsa di Parigi. La borghesia cominciò a essere veramente preoccupata quando gli anarchici “propagandatori col fatto” cominciarono a usare la dinamite: nel 1892 oltre un migliaio di esplosioni erano stati segnalati in Europa. A Parigi, le bombe esplosero nella Camera dei Deputati, in una stazione di polizia, in una caserma, in un caffè borghese, in una casa di un giudice nella la residenza di un procuratore. Erano lavoratori comuni che attivisti “professionisti”, quelli che commettevano questi atti di propaganda. Tali misure disperate erano state abitualmente lodate nelle colonne della stampa anarchica. I “terroristi” degli inizi del 1890 erano soprattutto uomini poveri, della classe operaia, come ebanisti, tintori, calzolai, per esempio -spesso inabili al lavoro o con una famiglia da sostenere, e che avevano in odio l’ingiustizia che pativano e che simpatizzavano per l’anarchismo. Questo era un aspetto del mondo in cui sono nati la maggior parte degli illegalisti; Bonnot era ancora un’adolescente quando avvenivano questi attentati spettacolari, provocando il panico tra la borghesia. Non ci sarebbe stata una paura così alta fino a quando lui, Jules Bonnot, non venne riconosciuto in Francia come “Nemico pubblico numero uno”.
Il desiderio anarchico per l’abolizione dello Stato è stato tradotto con degli atti immediati, a livello pratico, quali l’assassinio e lancio di bombe, in modo che il desiderio per l’ “espropriare agli espropriatori”, si riducess in “riappropriazione” delle proprietà dei borghesi. Questa era la teoria della ripresa individuale, i cui praticanti più celebri furono Clement Duval, Marius Jacob e Ravachol. Soprattutto quest’ultimo, era conosciuto più per i suoi attentati che per i suoi furti con scasso. Egli andò alla ghigliottina nel 1894, cantando la scandalosa canzone anti-clericale canzone Père Duchesne.

Clement Duval, due volte ferito nella guerra franco-prussiana del 1870, aveva trascorso quattro dei seguenti dieci anni in ospedale, ed era stato reso permanentemente inabile al suo mestiere di fabbro. Era stato imprigionato per un anno dopo che l’avevano sorpreso a rubare ottanta franchi dal suo datore di lavoro, soldi che servivano per comprare del cibo e medicina per la sua famiglia. Al suo rilascio aveva lasciato il gruppo anarchico “La pantera di Batignolles”, e cominciò una breve vita all’insegna del crimine. Nel mese di ottobre del 1886, aveva appiccato il fuoco alla villa di una ricca famiglia parigina, dopo averla svaligiata di quindicimila franchi. Venne catturato due settimane più tardi, nonostante avesse ferito un poliziotto, nel corso dell’arresto. In tribunale, il giudice rifiutò di consentire a Duval di leggere la sua difesa scritta, così l’aveva inviata a Le Revolte: “Il furto esiste solo attraverso lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, vale a dire dall’esistenza di tutti coloro che vivono parassitariamente della classe produttrice… quando la società rifiuta il tuo diritto ad esistere, è necessario prendere ciò che ti si toglie… il poliziotto che mi ha arrestato in nome della legge, l’ho colpito in nome della Libertà “. La condanna a morte fu commutata in lavori forzati a vita sull’isola del Diavolo, nella Guiana Francese. (1)
Se Duval lavorava da solo, i ladri anarchici degni di nota erano a capo delle bande che, successivamente, avevano creato una vera e propria federazione di ladri organizzati da Marius Jacob. Vittorio Pini, un calzolaio anarchico in fuga dalle autorità italiane, aveva iniziato una serie di furti con quattro altri compagni intorno a Parigi. Il bottino era di oltre mezzo milione di franchi. Avevano rubato quasi esclusivamente per supportare i compagni prigionieri e per sovvenzionare la stampa anarchica in Francia e in Italia.

Ortiz aveva apparentemente abbandonato la politica anarchica al fine di iniziare una carriera come un ladro professionista, con una banda di altri dieci compagni. Anche lui aveva donato fondi per la causa, ma non come aveva fatto Pini. Lui e i suoi uomini erano stati gli unici a essere condannati al famoso “Processo dei Trenta” nel 1894; 19 propagandisti anarchici erano liberi. Alexandre Marius Jacob aveva tutta una sua classe e modo di agire. A tredici anni lavorava su una nave pirata nell’Oceano Indiano. A sedici anni era conosciuto, in carcere, come un anarchico che fabbricava esplosivi. A diciassette anni aveva compiuto un sorprendente furto ad una gioielleria, fingendosi un poliziotto. E all’età di 20, conduceva con successo dei furti alle chiese, residenze aristocratiche e palazzi borghesi, lungo tutta la costa sud della Francia.

Nel 1900, all’età di ventuno anni, era fuggito dalla prigione dopo che si era finto pazzo, e andò a nascondersi a Sète. Qui aveva ripensato alle sue azioni, e decise di istituire un gruppo anarchico organizzato correttamente per finanziare sia il movimento e sia se stessi. Avevano adottato il nome di “Les Travailleurs de la Nuit” (I lavoratori notturni). Avevano acquistato delle uniformi per usarle come travestimento, ed imparavano le varie tecniche per rubare, nonchè ricercare le attrezzature disponibili. Una lista di potenziali obiettivi era stato elaborato nel “Who is who” -un libro in cui vi erano i nomi e gli indirizzi dei ricchi. Poi si misero al lavoro. Non avevano nessuna base particolare, il loro campo di attività era nella Francia stessa; alcuni dei loro furti più redditizi erano stati nella cattedrale di Tours, in una villa di un ammiraglio a Cherbourg, nella casa di un giudice a Le Mans e in una fabbrica di gioielli in rue Quincampoix, Parigi. Jacob aveva controllato la cattedrale di Notre Dame e la casa del Bayeaux Tapestry, e aveva deciso così di andare fuori dalla loro lista. Egli firmava le note come “Attila”: in queste note condannava i proprietari per la loro ricchezza eccessiva, e, occasionalmente, dava fuoco ai palazzi che aveva svaligiato. Mentre il gruppo originale si andava allargando, alcuni compagni avevano formato delle bande autonome, in modo che si venisse a creare una sorta di federazione. Erano stati coinvolti un centinaio di membri, ma la composizione era diventata meno anarchica. Jacobs era sfuggito all’arresto ad Orleans sparando ad un poliziotto, e l’avevano preso ad Abbeville. Era stato portato custodia dopo un breve scambio di colpi, in cui un poliziotto era morto mentre un altro era rimasto ferito. Sotto pressione, un uomo aveva informato sulle operazioni della banda: e l’aveva fatto in modo così dettagliato che per concludere le indagini, c’erano volute due anni. L’accusa contro Jacobs era di 161 pagine. All’Assise di Amiens, nel 1905, era stato accusato di 156 furti con scasso; al di fuori del tribunale, vi era un battaglione di fanteria, e alcuni giurati, temendo rappresaglie da parte degli anarchici, non si erano presentati. Il tribunale l’aveva condannato ai lavori forzati a vita e lo spedì sull’Isola del Diavolo. Il Governatore dell’isola, lo aveva etichettato come il prigioniero più pericoloso di tutta l’isola. (2)

Tutti questi ladri anarchici avevano donato somme importanti alla causa e difesero le loro azioni dicendo che avevano un “diritto” nel rubare; non era una questione di lucro o profitto, ma di principio. Il “diritto naturale” ad una esistenza libera era stata negata ai lavoratori attraverso il monopolio della borghesia sui mezzi di produzione; come i lavoratori continuavano a creare ricchezza, la borghesia si appropriava di questa ricchezza, creando, in ultima analisi, un mantenimento legittimato dello stato di cose, soprattutto grazie alla forza. Era il borghese immorale ad essere il vero ladro, sia storicamente che attualmente; la riappropriazione “anarchica” era superiore in moralità; faceva parte di una restituzione giusta della ricchezza rubata alla classe operaia, fatta con convinzione morale e buone intenzioni per promuovere la causa. Come si scriveva su La Révolte:
Pini non si è comportato come un ladro professionista. Era un uomo di poche esigenze, viveva in modo semplice, da povero qual era; che Pini abbia rubato per scopi di propaganda, non è stato negato da nessuno.

Gli argomenti anarchici a favore de “la reprise individuelle”, aveva una lunga storia. L’azione rivoluzionaria era richiesta ai lettori [del giornale]: bisognava rubare dai negozi di pegno, dagli uffici di cambio e dagli uffici postali, ai banchieri, agli avvocati, agli ebrei (!) e a coloro che affittavano delle proprietà (3), in modo da finanziare il giornale. Il Ca Ira aveva suggerito ai suoi lettori di applicarlo loro stessi contro i ricchi, in modo da alleviarli delle loro fortune. Le Libertaire pensava che il ladro, il truffatore e il falsario, in rivolta permanente contro l’ordine stabilito delle cose, “erano gli unici coscienti del proprio ruolo sociale”. Nel 1905, aveva scritto un contemporaneo nel Pere Peinard, uno dei giornali anarchici più caustici presenti in Francia, e i cui lettori erano per la maggior parte della classe operaia:

Con nessuna visualizzazione di filosofia (il che non vuol dire che non ne aveva), egli ha svolto apertamente gli appetiti, i pregiudizi e i rancori del proletariato. Senza riserve o travestimento, che incita al furto, alla contraffazione, al ripudio delle imposte e agli affitti, uccidendo e bruciando. E’ consigliato l’immediato assassinio di deputati, senatori, giudici, preti e ufficiali dell’esercito. Si consiglia agli uomini disoccupati di prendere -ovunque si trovi- il cibo per se stessi e per le proprie famiglie, di aiutare se stessi nel prendere le scarpe al negozio di scarpe quando le piogge primaverili bagnano i piedi, e i cappotti nel negozio di stoffe quando i venti invernali si fanno sempre più forti. Si esortano gli uomini che lavorano sotto dei datori di lavoro, nell’appropriarsi dei loro stabilimenti; i braccianti e gli operai dei vigneti a prendere possesso delle aziende e dei vigneti, e usare i proprietari terrieri e i proprietari di vigneti nei fertilizzanti a base di fosfati; si esortano i minatori a prendere le miniere e offrire i picconi agli azionisti nel caso in cui essi mostrino una volontà nel lavorare come i loro fratelli minatori, altrimenti li si getti in qualche discarica; si esortano i coscritti ad emigrare, piuttosto che a svolgere il servizio militare e si esortano i soldati a disertare o a sparare ai loro ufficiali. Glorifichiamo i bracconieri ed altri deliberati interruttori della legge. E raccontiamo le gesta degli antichi briganti e fuorilegge, oltre ad esortare i contemporanei a seguire il loro esempio“.

Accanto a questo fulgido esempio di propaganda proletaria, era venuto l’approccio più “intellettuale” del teorico anarchico. Elisée Reclus, metteva “in avanti” l’argomento logico de il reprise individuelle:
La comunità dei lavoratori ha il diritto di ritirare tutti i prodotti del loro lavoro? Sì, mille volte sì. Questa riappropriazione è la rivoluzione, senza la quale tutto è ancora da fare.

Un gruppo di lavoratori, ha diritto ad una parziale ri-appropriazione della produzione collettiva? Senza dubbio. Quando la rivoluzione non può essere fatta nella sua interezza, deve essere fatta, almeno, al meglio delle sue capacità.

L’individuo isolato, ha diritto a una personale ri-appropriazione della sua parte di proprietà collettiva? Come può essere messo in dubbio? La proprietà collectiva viene appropriata da pochi, perché non dovrebbe essere ripreso in dettaglio, quando non può essere ripreso nel suo insieme? Egli ha il diritto assoluto di prenderlo -per rubare, come si dice in lingua volgare. Sarebbe bene a questo proposito che la nuova morale si mostri, entri nello spirito e nell’abitudine.

“Uomini di “principio” e di vita esemplare, come Elisée Reclus e Sebastien Faure, erano così portati via dalle loro convinzioni sull’immoralità della proprietà, che erano pronti a perdonare qualsiasi tipo di furto basato su basi puramente teoriche; ma gli argomenti teorici astratti elaborati da questi intellettuali, erano estranei alla propria pratica quotidiana.

Tuttavia, nel Processo dei Trenta del 1894, Faure, Grave, Pouget, Paul Reclus e molti altri, erano stati accusati di collaborazione con la banda Ortiz e per associazione a delinquere. I propagandisti vennero assolti e i ladri finirono in prigione, ma per Jean Grave, almeno, era stata una salutare esperienza ed era ormai determinato a svolgere un ruolo di primo piano contro le teorie della validità del furto. Il giornale che lanciò l’anno seguente, era il Temps Nouveaux: la sua sobrietà, aveva fatto breccia ad un vasto pubblico di simpatizzanti anarchici.

Grave vedeva nel crimine, una corruzione che faceva diventare questa gente inadatta agli alti ideali per una società libera. Si riferiva, in particolar modo, al truffatore professionista che, invece di essere una minaccia per il sistema, era lo specchio-immagine del poliziotto, riconoscendo le stesse convenzioni sociali, con la mente e l’istinto simile al poliziotto e rispettoso dell’autorità. Ma, diceva,
se l’atto di rubare è quello di assumere un carattere di rivendicazione o di protesta contro l’organizzazione difettosa della società, deve essere eseguita in modo aperto, senza alcun sotterfugio“.

Grave anticipava l’obiezione piuttosto ovvia:
Ma, replica dei difensori del furto, l’individuo che agisce così apertamente, è per la volontà di privarsi così della possibilità di continuare. Egli perderà così la sua libertà, visto che sarà subito arrestato, processato e condannato.
“Certo, ma se l’individuo che non ruba in nome della rivolta, egli non è che un ladro come tanti altri, che ruba per vivere, senza mettersi in imbarazzo con delle teorie.

In effetti, una nuova generazione di anarchici, spronato dalle idee “individualiste” di Max Stirner, dovevano prendere come punto di partenza, esattamente ciò che Jean Grave contestava, ovvero che il ribelle che segretamente rubava, non era altro che un ladro comune. La teoria illegalista in via di sviluppo “non aveva alcuna base morale, riconoscendo solo la realtà della forza in loco di una teoria del “giusto“. Gli atti illegali dovevano essere fatti semplicemente per soddisfare i propri desideri, non per la gloria di qualche “ideale”. Gli illegalisti dovevano fare una teoria del furto senza avere l’imbarazzo di giustificazioni teoriche.

B- San Max
All’alba del XX° secolo, sorse una nuova corrente all’interno dell’anarchismo francese: l’anarco-individualismo. La base principale intellettuale per questo nuovo punto di partenza era stata la riscoperta delle opere del filosofo -molto diffamato e trascurato- Max Stirner. Karl Marx stesso aveva sottovalutato la radicalità della sfida di Stirner, e ne “L’ideologia tedesca”, diresse una polemica feroce contro di lui e la sua affermazione di “egoismo”. Ma il libro di Stirner, L’Unico e la sua proprietà, pur provocando grande scalpore all’epoca, fu presto dimenticato. In Francia, l’interesse per questo autore era stato risvegliato solo verso la fine del secolo, a causa di una congiunzione di due fattori principali: la moda corrente per tutte le cose tedesche (piuttosto ironica come cosa, considerando la relativa vicinanza della Prima Guerra Mondiale) e il vivo interesse per la filosofia individualista tra gli artisti, gli intellettuali e i letterati, specialmente tra le classi medie urbane in generale. Un’individualista borghese era Maurice Barres, che aveva scritto una trilogia molto famosa, dal titolo Le Guité de Moi, nella quale, dopo aver osservato che, “il nostro malessere deriva dal nostro vivere in un ordine sociale ispirato dai morti“, dipinse un nuovo tipo di uomo che, soddisfacendo il suo ego, avrebbe aiutato a trasformare l’umanità in “una bella foresta” . Nonostante tale apparente sentimentalismo, il suo individualismo si basava sulla posizione materiale del privilegiato della borghesia, la cui auto-realizzazione era stato possibile solo dalla sottomissione dei desideri delle masse. Barres, negli anni successivi, aveva abbracciato le idee antisemite e cristiane nazionaliste. L’individualismo guadagnava terrenno, e in un senso più radicale, attraverso Henrik Ibsen, lo scrittore norvegese, che aveva prodotto una critica della morale contemporanea in forma teatrale. Aveva sviluppato il tema del singolo forte in piedi da solo sia contro la tirannia dello Stato e sia contro il gretto moralismo opprimente delle masse. L’appello di Ibsen stava nel fatto che il desiderio personale per l’indipendenza esisteva a tutti i livelli della società, in modo che chiunque, indipendentemente dalla proria origine di classe, poteva identificarsi con la persona che si era opposto alla massa. Ma l’individualismo di Ibsen affrontava solo le questioni morali e non quelle economiche.

Nella moda per tutte le cose tedesche, Friedrich Nietzsche era stato il più alla moda degli scrittori-che-facevano-i-filosofi. Egli si scagliava contro la cultura dominante e l’ethos del suo tempo, e in particolare contro gli atteggiamenti di conformità, rassegnazione o risentimento; voleva la creazione dell’ “Oltreuomo”, che avrebbe rotto i vincoli della morale borghese e l’artificiosità delle convenzioni sociali, in modo che l’umanità ritrovasse le proprie virtù primitive. Per la cronaca, non era né un nazionalista, né un antisemita. Nietzsche considerava Stirner come una delle menti non riconosciute del XIX° secolo, una raccomandazione che, accoppiato con la moda per la filosofia tedesca, aveva portato “in fin de siecle” alla pubblicazione di estratti del suo lavoro in Le Mercure, e nel giornale dei letterari anarchici simbolisti “Entretiens politiques et littéraires”. (4)

Nel 1900, anno della morte di Nietzsche, l’editore libertario Stock, stampavaa la prima traduzione in francese del lavoro Stirner, intitolato “L’unique et sa propriété. I giovani anarchici, in particolare, svilupparono rapidamente una fascinazione per il libro, e in breve tempo era diventata la “Bibbia” degli anarco-individualisti. La polemica di Stirner era molto più estrema rispetto alle consunte idee che fino ad allora costituivano la sostanza dell’ideologia rivoluzionaria. I pensatori anarchici tendevano, come Proudhon, a concepire un criterio assoluto morale in cui la gente doveva subordinare i propri desideri, in nome della “Ragione” o della “giustizia”, o, come Kropotkin diceva, nell’assumere un qualche impulso innato, una volta che l’autorità fosse stata rovesciata, da indurre le persone a cooperare naturalmente in una società governata da leggi invisibili di mutuo soccorso. L’ “anarchismo” di Tolstoj e Godwin era fondato sul moralismo, il primo sul cristianesimo ortodosso, il secondo sul dissenso inglese. Anche gli anarco-sindacalisti come Jean Grave avevano avuto una “moralità rivoluzionaria” che vedeva la lotta di classe come una “guerra giusta”.

Stirner vedeva nella moralità una giustificazione ideologica per la repressione degli individui; si oppose a quei rivoluzionari che volevano creare una nuova morale al posto di quella vecchio, in quanto avrebbe provocato il trionfo della collettività sull’individuo, oltre a porre le basi per un altro Stato dispotico. Egli negava che vi fosse una reale esistenza di concetti come “legge naturale”, “umanità”, “ragione”, “giustizia” o “il popolo”; più che essere semplicemente banalità assurde (che beffardamente etichettava come “concetti sacri”), erano una gamma di idee astratte, che purtroppo avevano dominato il pensiero della maggior parte degli individui:
Ogni essenza più alta, come  “Verità”, “umanità” e così via, è un’essenza SU di noi“.

Stirner percepiva la natura repressiva delle ideologie, anche dai cosiddetti ideali “rivoluzionari”; lui credeva che tutti questi “concetti sacri”, costruiti con l’intelletto, portavano effettivamente ad un dispotismo pratico. Per Stirner, la vera forza della vita risiedeva nella volontà di ogni individuo, e questo “Ego”, “l’Io sfrenato”, non poteva venire alla vera realizzazione di sé e all’auto-realizzazione, finchè lo Stato continuava ad esistere. Ogni individuo è unico, con una unicità che deve essere coltivato: l’egoista fornisce i propri bisogni e desideri come unica regola di condotta. A differenze con altri individui, che dovevano essere riconosciuti e accettati, gli egoisti coscienti potevano combinarsi con altri in “unioni di egoisti”, liberi di unirsi o separarsi a loro piacimento, invece di essere tenuti insieme, e sotto il peso, di una certa ideologica. Alcuni conflitti della volontà potevano essere risolti con la forza, come lo erano già presenti nella società, ma questi potevano essere fatti senza la necessità di una giustificazione morale.

Stirner aveva visto il desiderio come la prima forza motivante della volontà:
Il mio rapporto con il mondo consiste nel mio divertimento… la mia soddisfazione decide il mio rapporto con gli uomini, e io non rinuncio, nemmeno con un eccesso di umiltà, al potere sulla vita e sulla morte … Io non mi umilio davanti a nessun potere“.

La realizzazione dei desideri individuali, era essere la base per l’eliminazione dello Stato; per quello lo Stato, in ultima analisi, era il simbolo del potere alienato della massa degli individui? Se la gente si riappropriava del proprio potere, abitualmente si arrendeva allo Stato, dopo che la società era stata stabilita e cominciava a disintegrarsi.

Nella lotta contro lo Stato, che ogni egoista cosciente conduceva, Stirner distingueva tra una “rivoluzione”, che mirava alla costituzione di un nuovo ordine sociale immutabile, e “ribellione” o insurrezione, un continuo stato di rivoluzione permanente, in cui “non ci sono speranze sulle “istituzioni” “. La ribellione per Stirner, non era tanto un atto politico o sociale, ma un atto egoistico. Inoltre, in questa battaglia con lo Stato, Stirner riteneva che “un’egoista non può cessare di essere un criminale”, ma questo non significava una giustificazione morale per il crimine, che era necessaria. Discutendo del famoso detto di Proudhon “La proprietà è furto”, egli si chiedeva perché “gli altri vengono incolpati come se ci avessero derubato, mentre ci si assume la colpa nel lasciare gli altri non derubati?

Egli aveva suggerito che Proudhon doveva formulare quanto segue:
Ci sono alcune cose che appartengono solo a pochi, e alla quale noi altri sapremo, d’ora in poi, rivendicare verbalmente o con l’assedio. Facciamo adottare a uno o a molti, la proprietà che è ancora caduta in mano a qualcuno. Può essere utilizzata meglio sia nelle mani di tutti che di pochi. Dobbiamo quindi associarci ai fini di questa rapina“.

Ha riassunto: “A quale proprietà ho diritto? Alla proprietà in cui ricade il mio potere… Non richiedo alcun “Diritto”; quindi non ho bisogno di riconoscerlo. Quello che posso ottenere con la forza, è mio, e quello che non posso ottenere con la forza, non è mio, e non posso darmi arie o consolazioni con un’impresentabile “diritto”… La libertà appartiene a colui che la vuole.


Stirner aveva proposto l’ “espropriazione” non come la risposta “legittima” di una vittima della società, ma come un modo di auto-realizzazione: “il pauperismo può essere rimosso solo quando io, in quanto ego, realizzi un valore da me stesso, quando do il mio valore alle mie azioni. Io mi sollevo in una rivolta crescente in questo mondo.

E la ribellione doveva essere glorificatata:
Nel delitto, l’egoista ha finora affermato se stesso e deriso il sacro, la rottura con il sacro, o meglio del sacro può diventare generale. Una rivoluzione non ritorna mai, ma una potente, spericolata, senza vergogna, senza coscienza, orgogliosa CRIMINALITA’; non è un rombo di un tuono da lontano, e non si vede come il cielo diventi cupo, silenzioso e preveggente?

Altrove, nei suoi momenti meno poetici, Stirner era più pensieroso:
Parlare con il cosiddetto criminale come con un’egoista, significa che egli non si vergognerà di aver trasgredito le vostre leggi, perchè egli si considera degno di eludere le vostre leggi e di desiderare i vostri beni; egli non si vergognerà del vostro disprezzo, ed egli sarà a poco a poco un’egoista.

Questi atteggiamenti, apparentemente contraddittori, sono stati successivamente usati da alcuni illegalisti. “L’Unico e la sua proprietà” era un lavoro sorprendente, scritto da un punto di vista che potrebbe essere chiamato “soggettività radicale”, un’opera di una divorante passione, ben riassunta nel grido di battaglia dell’egoista:
Afferrate e prendete ciò di cui avete bisogno! La guerra di tutti contro tutti è dichiarata. Io posso decidere cosa avrò!

Se i socialisti ignoravano continuamente la questione dei desideri individuali e l’elemento soggettivo della rivolta, allora va detto che Stirner aveva fatto pochi sforzi nel dirigere la sua attenzione sulle domande socio-economiche e nella necessità di una lotta collettiva dei diseredati, che doveva realizzare i desideri di ogni individuo. Vedeva “le masse” come “pieni di sentimenti di polizia fino in fondo”, e riduceva la questione sociale sul come l’individuo dovesse eliminare le classi e lo Stato. Eppure, aveva finalmente reso possibile ai ribelli, quello di  ammettere che la loro rivolta si faceva prima della propria autorealizzazione: non c’era bisogno di giustificare un’azione con un’idea astratta. Coloro che sostenevano di agire in nome del “Popolo”, erano spesso dei macellai sentimentali. Stirner strappava via il peso morto dell’ideologia e trovava la rivoluzione in cui era sempre stata -nei cuori e nelle menti degli individui. La forza e il vigore delle idee di Stirner, erano un appello a molti spiriti anarchici determinati a vivere la rivoluzione lì. La lunga associazione dell’anarchismo francese con la teoria del volontariato e la pratica illegale, trovavano simpatia nella criminalità della classe operaia e nell’ostilità della morale borghese e della politica socialista, facendo sì che le idee Stirner fossero facilmente accessibili a molti anarchici non ancora accecati da un’ideologia anarchica “pura”. A differenza di quest’ultima, la nuova generazione di anarchici, riteneva necessario chiamarsi “anarchici individualisti”, anche se si difendevano il vessillo della pura e semplice anarchia.

Questo ambiente, che era emersa dopo il 1900, e che era in gran parte la creazione di Libertad, uno che aveva già assimilato Stirner e le sue idee di base nella sua teoria ai tempi della Banda Bonnot. Era possibile che nessuno della banda avesse letto “L’Unico e la sua proprietà”, ma le loro azioni e le teorie di Stirner avevano delle somiglianze.

Continua…

Nota

(1) Era fuggito con una mezza dozzina di altri prigionieri nel 1901 e aveva raggiunto New York, dove si unì al movimento anarchico, morendo alla veneranda età di 85 anni. La sua biografia è purtroppo disponibile solo in Italiano.

(2) Aveva cercato di fuggire diciassette volte, e aveva trascorso cinque anni in isolamento, tra cui due interi anni in catene. Graziato nel 1928, tornò in Francia e infine si tolse la vita nel 1954. Ad oggi non vi è alcuna biografia in inglese sulla straordinaria vita di Jacob.

(3) Una persona che vive fuori di un reddito privato e non guadagnato.

(4) Il Simbolismo era stato il movimento culturare d’avanguardia del tempo.

 

 

http://ienaridensnexus.blogspot.com/2012/07/la-banda-bonnot-prima-parte.html

 

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