Verso la riapertura dei manicomi

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Sono anni che arano il terreno. Oggi paiono pronti a seminare: sono i fautori del ritorno dei manicomi. La proposta del deputato Ciccioli di riforma della legge 180/78, la cosiddetta “legge Basaglia”, approvata in commissione Affari sociali e sanità reintroduce – nei fatti – pesanti elementi di custodia neo-manicomiale.
Una legge che si configura anche come una sorta di sanatoria verso le innumeri violazioni di una norma che aveva eliminato la reclusione obbligatoria delle persone con disagio psichico. Una norma che viene spesso aggirata, specie al sud, dove i manicomi non sono mai spariti del tutto.
Il testo unico approvato in commissione sostituisce il TSO, trattamento sanitario obbligatorio con il TSN, trattamento sanitario “necessario”, che può avere un’appendice nella reclusione obbligatoria in strutture esterne non ospedaliere per sei mesi prorogabili ad un anno.
Se questa legge passasse si riaprirebbe un’enorme discarica sociale per tutti coloro che non stanno nella norma, che danno fastidio, che vanno tenuti lontani dalla scena sociale. Significativa in questo senso l’introduzione degli arresti domiciliari manicomiali, che permettono alle famiglie di rinchiudere in casa il parente “matto”.
Anarres ne ha parlato con Pierluigi del Collettivo Antipsichiatrico “Antonin Artaud” di Pisa.
Ascolta il suo intervento a radio Blackout
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La legge 180, la cosiddetta legge “Basaglia”, dal nome dello psichiatra che aveva ispirato con la sua pratica la fine dell’orrore manicomiale, aveva recepito alcuni principi di libertà che una generazione di psichiatri, rigorosamente nemici dell’internamento e della soppressione dell’identità del sofferente psichiatrico, aveva iniziato a sperimentare un decennio prima.
La legge 180, ovviamente, non recepiva interamente quell’impianto dal momento che questo era basato sulla messa in discussione dei ruoli medici all’interno della psichiatria e su una pratica di accoglienza del sofferente psichiatrico, al quale non doveva essere tolta la libertà. La 180, però, aveva comunque un merito: dichiarava illegittimo l’internamento su semplice richiesta del medico curante, chiudeva quei lager innominabili chiamati manicomio e prevedeva la possibilità della cura attraverso presidi sanitari e ambulatori. Insomma il “matto” cessava di essere una strana bestia, degna al contempo di orrore e pietà, da rinchiudere in appositi luoghi per non turbare la serenità della società “normale”, per diventare una persona sofferente e in quanto tale depositaria del diritto a essere assistita senza lederne la libertà.
Tutto questo non è mai stato applicato fino in fondo: nel centro e nel sud del paese i manicomi non sono mai stati chiusi, i fondi per la deistituzionalizzazione sono sempre stati pochi e risicati. Le ASL, soggetti ai quali competeva la costruzione di presidi e luoghi di cura, hanno sempre evitato di attivarsi in questo senso preferendo investire denaro in affari più lucrosi: non poche delle comunità sorte per sostituire i vecchi manicomi sono state fin troppo simili ai vecchi lager… Nonostante tutto questo, decine di migliaia di persone hanno finalmente trovato una dimensione più umana nella quale vivere, alcune migliaia di loro hanno iniziato un percorso che le ha portate a una maggiore o minore autonomia, altre migliaia hanno potuto evitare la carcerazione a vita in quei luoghi indecenti. Tutto questo non è andato bene a un sacco di gente: non è andato bene agli psichiatri che, tranne le eccezioni che dettero vita alla stagione antipsichiatrica, hanno continuato a maledire una legge che toglieva loro l’assoluto potere sulle vite dei ricoverati, non è andato bene ai custodi dell’ordine sociale che ritengono eretico pensare che una società debba accogliere al proprio interno chi soffre proprio a causa delle storture dell’ordine dominante, non è andato bene, infine, a tutte quelle figure che campano sulle rigide suddivisioni tra “sani” e “malati”, cani da guardia dell’ordine sociale e mentale e ben decisi a perpetuarlo all’infinito. Queste figure e le lobby influenti alle quali hanno dato vita, hanno continuato dall’emissione della legge 180 (1978) fino a oggi a soffiare sul fuoco delle “povere famiglie abbandonate” che avrebbero dovuto gestirsi “il matto in casa”, evitando ovviamente di dire loro che se questo accadeva non era certo colpa della 180 quanto del boicottaggio effettuato proprio contro di essa, lesinando i fondi, impedendo gli inserimenti lavorativi, privando i soggetti psichiatrizzati della possibilità di affittare casa, di avviare relazioni stabili e, in generale, di vivere una vita non diversa dai “sani”.
La distruzione della 180 è stata così avviata con la complicità dei pennivendoli di regime, sempre pronti a denunciare i delitti commessi dai “fuori di testa” e a richiedere l’immediato ritorno dell’internamento coatto. I tagli sempre più forti e sempre più mirati effettuati in questo decennio hanno fatto il resto, privando i progetti di autonomia e di cura della sofferenza del terreno concreto sul quale svilupparsi. Le ASL hanno sempre più lesinato i fondi per tutti i progetti che non prevedevano la preminenza degli psichiatri nei percorsi di cura, le comunità di eccellenza, quelle con pochi utenti e molti educatori, sono state penalizzate mentre sono state premiate quelle che ripetevano in piccolo lo schema dei vecchi manicomi. Per quanto riguarda i presidi locali, poi, questi si sono trasformati in centri di spaccio di psicofarmaci e dispensatori di “buoni consigli”. Le ultime leggi regionali che hanno riordinato in tutta Italia il settore hanno, infine, privilegiato le riduzioni della spesa, la costruzione di strutture residenziali per la cura della sofferenza psichiatrica gestite dalle vecchie figure mediche e con presenza di personale educativo ridotta al minimo e la centralità del ruolo dello psichiatra nel determinare il percorso istituzionale dell’utente.
Dulcis in fundo è stata riordinata la figura dell’educatore il quale è stato privato di tutte le competenze propriamente educative per trasformarlo in una figura assistenziale non diversa dall’infermiere o dall’assistente domiciliare. In pratica un altro controllore sociale sottoposto agli ordini dello psichiatra di turno, senza possibilità progettuali e incaricato di impedire qualsiasi progresso o autonomia delle persone affidategli. Insomma il “matto” è già tornato quello di prima: una bestia da rinchiudere e sul cui fascicolo scrivere: “fine pena mai”.
Una follia criminale. Una delle tante di chi ci governa.

 

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